E poi dicono che i sogni non si realizzano!
Io ne ho parecchi, ma molti ho trovato la volontà di costruirmeli e renderli una realtà che posso ricordare per sempre. E a cosa serve, altrimenti, avere un sogno? A metterlo in quel cassetto colmo che poi diventa difficile da aprire perché incastrato tra i limiti di un mobile?
Oh, sì: ci vuole coraggio, determinazione, un po’ di fatica e qualche sacrificio. A volte un po’ di incoscienza. E poi c’è l’adrenalina. C’è anche quella specie di forza che ti aiuta a fare del dubbio non un limite, ma una scelta e un’occasione.


Sono sotto la terza torre del Sella, davanti a una delle vie di uno degli alpinisti che più mi affascina. Un uomo semplice, umile, silenzioso, ma che è rimasto nella storia come uno dei più forti e dei più audaci devoti alla roccia. Finalmente salgo una via di Gian Battista Vinatzer (puoi leggere qui la bellissima intervista a Vinatzer di Pietro Crivellaro).
Abbiamo scelto una tra le più semplici, ma anche tra le più belle che questo grande alpinista e il suo fidato compagno di cordata Vinzenz Peristi hanno chiodato il 23 giugno del 1935.
Da lontano la torre sembra un gigantesco monolite che si innalza tra gli altri fino a superarli. Pare voglia guardare le altre cime dall’alto. Ne sappiamo qualcosa. E come biasimarla? In lontananza incute qualche timore. Ma da vicino diventa subito più ospitale.
All’attacco c’è un vecchio chiodo, lì pronto per indicarci la strada.

Come sempre la mia preoccupazione va alla discesa, con tratti esposti e varie calate. Ma per la prima volta non ho alcuna agitazione nel salire la via. Non conosco il motivo, so solo che la motivazione è parecchia. E dato che l’ho indicata come il mio regalo di compleanno… be’, lo voglio a tutti i costi.
Saliamo lungo questo itinerario che si presenta subito molto logico: la roccia è perfetta, salvo alcuni tratti nella seconda parte della via (a proposito: chi parla di passaggi ‘unti’ dovuti alle tante ripetizioni, non conosce il vero ‘unto’).
Le protezioni, a chiodi, sono molto poche: meno di 40 in oltre 400 metri di via (chiodi delle soste compresi), ma le possibilità di proteggersi con friend ci sono e il martello non è servito. Il tiro chiave è ben ammanigliato e protetto, di certo il tiro più bello.
La relazione che consiglio è quella di Danza Verticale, di cui è possibile semplicemente seguire lo schizzo. Questa volta i grandi Sassbaloss non mi hanno accompagnato, perché nella prima parte sono andati fuori via e mi confondevano un po’ le idee.
[Un altro consiglio: il ‘camino repulsivo’ che si vede e si legge nella relazione di Danza Verticale è la via originale, quindi suggerisco di salirlo e non di aggirarlo, perché è davvero divertente e la roccia è perfetta.]









Certo, la relazione aiuta perché i chiodi sembrano invisibili tra le tinte di questa splendida roccia (infatti qualcuno nel ho saltato), ma la linea è talmente evidente, che perdersi è impossibile (non mi sono persa neanche io!).
La cengia a spirale, che divide a circa metà la torre, è comoda e spaziosa e la si percorre anche al ritorno. Un ritorno che mi faceva paura, ma che alla fine si è rivelato semplice e non è stato per nulla difficile individuare le calate. Basta fare un po’ di attenzione ai tratti esposti.





Arrivati in cima, firmiamo il libro di via. Guardandomi attorno tutto il resto della mia quotidianità scompare: impegni, preoccupazioni, gli intricati pensieri che tanto facile è vederli comparire giorno e notte. Qui l’esistenza sembra trasformarsi ancora in vita.

Durante la salita mi sono presa tutto il tempo per ammirare quel che di solito ci lasciamo alle spalle: le altre montagne. Loro ci osservano, perché non darci almeno un’occhiata? E poi ti perdi nei loro occhi…
Dietro di noi c’è il gruppo del Sassolungo, in lontananza le Odle e dall’altra parte la Marmolada, e poi il Catinaccio e tantissime altre montagne che rendono le Dolomiti un paradiso unico e, non me ne vogliano gli altri, il più bello che si possa avere attorno a sé.











E poi ci siamo noi, quelli che dell’inutile hanno fatto la loro passione e talvolta la loro ossessione. Quelli che anche se cercano di pensare ad altro, tutto fa tornare alla mente l’unica via al mondo che si percorre verso l’altro, con le nostre mani e i nostri piedi. Talvolta anche con le ginocchia e i gomiti.
Quelli che sono felici come bambini perché posano i loro palmi sulle rocce che hanno toccato i loro grandi idoli del passato. Altri conquistatori dell’inutile, altri ossessionati da questo inutile. Che però diventa l’elemento per cui vale ancora la pena sognare.

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