Ti va di tornare con me negli anni ’70? Solo per pochi minuti, o anche intere ore, se preferisci.
È passato parecchio tempo, dobbiamo tornare indietro, certo, eppure allora erano così avanti. Sto parlando di un gruppo di arrampicatori. Siamo in California. Ti do il benvenuto tra gli Stonemasters.
“Avevo bisogno di compagni e di un modo per raggiungere quelle montagne. Così ho organizzato un club di arrampicata al liceo con l’unico scopo di trovare un compagno con una macchina. Il club è stato chiuso dopo la nostra prima gita di due giorni al Joshua Tree National Monument, quando un accompagnatore ha sorpreso diversi studenti con una bottiglia di Pappy Van Winkle e una studentessa straniera di Haifa è stata trovata a vagare nel deserto in mutande.”
È John Long che scrive e in quel momento non gli sarebbe più importato di proseguire con il club. Perché lui aveva già conosciuto Eric “Ricky” Accomazzo, a cui è bastato imparare qualche tecnica di arrampicata in cordata per accettare la nuova avventura che sarebbe durata anni. Gli anni più affascinanti, folli e selvaggi della loro vita.
Aggiunta la sua Ford Pinto azzurro polvere era fatta: John Long sapeva che Accomazzo sarebbe stato il compagno di scalata perfetto e così è stato. Ricky si distinse come il re delle scalate da brivido.

“Dal granito dello Yosemite al ghiaccio di Chamonix, Ricky scalava le vie nuove più difficili con una disinvoltura artistica che spinse il nostro fratello dello Yosemite, Dale Bard, a chiederci una volta ‘ma di che pasta è fatto quel ragazzo?’. ‘È italiano’, risposi, il che non spiegava il fatto che Ricky avesse scalato una lastra di ghiaccio del Royal Arches che Dale e io avevamo abbandonato dichiarandola impossibile.”
John Long
A John e a Ricky si aggiunse, incontrato per caso, un ragazzo dai capelli lunghi e scompigliati, che aveva un’aria strana e una particolare luce negli occhi che i due riconobbero subito, perché molto simile alla loro.

“‘Si chiama Richard’, disse Ricky. ‘Richard Harrison. Dice che ha lasciato il liceo perché gli toglieva tempo all’arrampicata’. Che possibilità c’erano? Nessuno lasciava il liceo per andare ad arrampicare a quei tempi. Non negli Stati Uniti, almeno.”
John Long
I tre iniziarono a scalare i massi del Monte Rubidoux vicino a Riverside, in California. Insieme racimolarono qualche soldo per comprare una corda e l’attrezzatura essenziale per arrampicare. Quando non erano in parete, leggevano o parlavano di arrampicata. E lo facevano in una piccola struttura in blocchi di cemento di Richard, conosciuta come ‘The Basement’, isolata, ai piedi delle colline, sopra agli agrumeti, vicino alle montagne.
“Un amico artista di Richard aveva dipinto una trave a vista con una serie stilizzata di montagne, che iniziava con il K2 a sinistra e terminava con il Cervino a destra. Alla presenza di questi giganti abbiamo trascorso molte serate sognando a occhi aperti, raccontando epopee alpine mozzafiato, ascoltando Jimi Hendrix e i Pink Floyd nel vecchio registratore cigolante di Richard e fumando erba che lui coltivava nell’arido burrone dietro The Basement. Nessuno ci disturbava mai. A diciotto anni, quel tipo di privacy e l’atmosfera claustrale del Basement ci facevano sentire come i sovrani di un castello magico.
[…]
Ogni Stonemaster (come ci siamo poi definiti) ha portato al gruppo ingredienti che sono stati mescolati nella nostra gestalt collettiva. Richard ha portato il piatto principale: seguire la propria prerogativa. Se questo andava bene agli altri, bene, altrimenti ‘i gusti sono gusti’, diceva. Richard continuò a scalare più vie in più luoghi di quanto avessimo fatto noi tutti messi insieme, sempre con una discrezione che l’avrebbe fatto rimanere anonimo se non fosse stato per la sua foto a tutta pagina nel Yosemite Climber di Meyers mentre scalava da primo la Nabisco Wall con un giovane John Yablonski che lo assicurava.”
John Long

Ma come nasce davvero il termine Stonemasters? Dai racconti di John Long tutto accadde in una notte del 1972. Una notte come tante altre, zeppa di fumo d’erba e di incenso, costruita su pensieri e immagini, avventure di grandi alpinisti come il bivacco forzato di Buhl al Nanga Parbat o la scalata di Messner in solitaria delle Les Droites. Giovani con tanta energia, voglia di andare anche senza dover tornare, riserve di adrenalina a non finire, ma…
“Chi eravamo senza una vera bussola? Senza una scintilla? […] Nessuno ricorda chi l’abbia coniato: Stonemaster si materializzò nella nostra conversazione. Il solo menzionare il nome evocò lo stesso Stonemaster e il suo fulmine ci colpì proprio in mezzo agli occhi. Saltammo in piedi e cominciammo a urlare. […] Al diavolo Herzog e Messner, e chi se ne importa dell’Himalaya. Si trattava di noi e di rocce stupende: dopotutto eravamo scalatori! C’erano El Capitan e la Middle Cathedral e centinaia di scalate storiche nelle vicine Tahquitz e Suicide Rocks. E le avremmo scalate tutte in un attimo. Tutto questo è nato nel momento in cui abbiamo capito che l’unica cosa che ci tratteneva era la misera dimensione dei nostri sogni. […] Solo più tardi avrei capito che il passaggio dall’elogio dei trionfi altrui alla lotta per i propri comporta sempre il doversi confrontare con la paura dell’ignoto e la sua incertezza. La paura di fallire. La paura di morire in modo orribile. La paura della paura. C’è sempre più paura. Dopo mesi e mesi, libri su libri, il nostro sogno alla fine si è infranto contro l’ignoto come una mosca contro un vetro. Poi finalmente The Stonemaster ha spalancato la finestra.”
John Long
Ma chi erano davvero gli Stonemasters? Era una domanda che spesso questi ragazzi si ponevano: erano pronti a tutto? Adolescenti disadattati, sognatori incalliti, smarriti senza una mappa che gli indicasse la strada, con poca esperienza alle spalle. Avevano bisogno di compagni adatti, che segnassero loro una via da intraprendere, o almeno che dessero loro un punto di partenza. Destino volle che a questo gruppo si unissero Mike Graham, Robs Muir e una manciata di altri giovani scalatori sparsi per la California meridionale.
“Da quel momento The Stonemaster ci catapultò nell’azione con una velocità che spezzò la schiena a uno di noi, ne ruppe un altro quasi a metà, ne uccise diversi e lasciò l’altra mezza dozzina ad artigliare gli appigli.”
John Long
Suicide Rock a Idyllwild, in California, è stato il loro campo di addestramento e laboratorio culturale. A est di Suicide, a un miglio attraversando Strawberry Valley, si ergeva l’imponente Tahquitz Rock, fonte delle tradizioni alpinistiche americane e dei pionieri dello Yosemite.
A Suicide la maggior parte delle vie erano state aperte negli ultimi sei anni per mano di Pat Callis, Charlie Raymond e Bud Couch, ma c’erano molte altre prime ascensioni ad aspettare gli Stonemasters, sul granito levigato con runout da paura. All’inizio, senza la suola in gomma adatta, lanciarsi su una via di prova a Suicide era un vero e proprio banco di prova, dove il pericolo dovevi metterlo già in preventivo. Tra i pionieri lì spiccava Mike Graham, conosciuto negli anni successivi come Gramicci.

“Con il dono di un talento naturale e la grinta di un beatnik, in tutti gli anni in cui ho conosciuto e scalato con lui, Mike non è mai stato al massimo della forma. Non ne ha mai avuto bisogno. Ha fatto tutto con un’abilità innata e con coraggio. Se chiedessi a Jim Bridwell di nominare il miglior scalatore che abbia mai visto, la sua risposta sarebbe Gramicci, che ha scalato un layback di ventiquattro metri senza protezioni durante la prima ascensione, ancora non ripetuta, del Gold Ribbon, sulle Ribbon Falls, nello Yosemite.”
John Long

Mike lavorava da Ski Mart, un grande negozio di articoli per attività all’aperto, e da lì forniva ai ragazzi l’attrezzatura migliore. Gramicci ha anche creato il primo logo Stonemasters, quello con il fulmine scintillante, che è rimasto per sempre inciso sotto uno dei boulder più famosi al mondo, Midnight Lightning. E grazie a Mike il gruppo conobbe anche il biondo Gib Lewis e Bill Antel, uscito dall’ombra per catapultarsi subito in scalate di livello internazionale.
Del passato di ognuno, specificò John Long nel suo scritto, poco importava, perché
“gli Stonemasters erano come la Legione Straniera Francese: il tuo passato veniva dimenticato nel momento in cui ti arruolavi”.
Ma fin qui abbiamo parlato solo di uomini, non ti pare? Ebbene, indimenticabili furono tre delle donne che hanno sfidato gli stereotipi e la storia, accolte a braccia aperte dal gruppo degli Stonemasters. I loro nomi non ti saranno nuovi: Carolyn ‘Lynn’ Hill (futura campionessa mondiale di arrampicata sportiva), Mari Gingery e Mariah Cranor (che gestì la Black Diamond Equipment).
Determinate, impegnate, queste donne scalavano spesso con un’intensità anche superiore a quella dei ragazzi e furono l’esempio di democratizzazione e pari opportunità che negli anni ’70 ancora faticava a emergere negli altri sport.
Bene. Con un nome, Stonemasters, un simbolo, il fulmine, e un gruppo di indisciplinati nulla mancava per andare oltre le solite vie di Suicide e affermarsi nel mondo con scalate epiche. Ma come fare? Nessuno ancora lo sapeva.
Iniziarono Robs Muir e Jim Hoagland con la prima ascensione continua di Valhalla, una delle poche vie di grado 5.11, aperta da Bud Couch, tra i migliori master di Idyllwild a partire da John Mendenhall, padre dell’arrampicata su roccia in California.
Di Bud e degli altri i nostri protagonisti avevano un po’ di soggezione e al contempo cercavano la loro approvazione. Ma come ottenerla senza ridicolizzarsi su quelle rocce?
“Una delle formazioni più belle di Suicide si chiamava Weeping Wall (il muro piangente), e piangeva per una buona ragione. Per milioni di anni, questa fantastica lastra di roccia aveva attirato su di sé pioggia e vento per modellare rocce in gran parte inesplorate. ‘È ora di fare un passo avanti’, concluse Richard una sera nel Basement, ‘o non andremo da nessuna parte’. Poco dopo la vittoria di Robs e Jim, abbiamo tutti puntato al Valhalla, e ci siamo arrivati. (Il Valhalla divenne immediatamente il prerequisito per diventare uno Stonemaster e Mike tenne un diario in cui registrò le prime dodici ascensioni). Nel giro di pochi mesi avevamo ripetuto tutte le vecchie prove che valeva la pena fare, ma gli Stonemasters non crebbero di numero nonostante i nostri sforzi. Sforzi che non ispiravano nessuno ma facevano arrabbiare tutti, lasciandoli ansiosi e diffidenti. Ma mentre i dilettanti arrancavano sui loro canaloni e la vecchia guardia svaniva lentamente nel nulla, chiunque fosse nuovo aveva una strada diversa da seguire e, alla fine, molti lo fecero. Gli Stonemasters erano arrivati, la festa era iniziata e tutti erano invitati.”
John Long

Photograph by Kim Cooper
A Suicide, Tahquitz e fuori Joshua Tree gli Stonemasters iniziarono a conquistare diverse prime ascensioni e nuove vie come New Generations, Iron Cross, Drain Pipe, Ten Carrot Gold, Green Arch, Ultimatum, Le Toit, The Flakes, Jumping Jack Crack, Ski Tracks e molte altre.
“Questo era prima delle EB, quando le scarpe che utilizzavamo erano le PA rosse (Pierre Alan) o le RD marroni (René Desmaison), che avevano un coefficiente di attrito pari a quello di una pala. Il minimo passo falso e si partiva per il grande salto, e nessuno faceva il grande salto così spesso o in modo così spettacolare come Tobin Sorenson.”
John Long
Ma chi è Sorenson? Long lo descrive come “il pazzo che, in blue jeans e felpa con la scritta ‘Jesus Saves’, ha scalato in solitaria la parete nord del Cervino”, ma non fece solo questo.
Tobin Sorenson ha fatto la prima ascensione in stile alpino dell’Harlin Direct sull’Eigerwand insieme all’alpinista britannico Alex McIntyre e la prima ascensione del Dru Couloir Direct, a Chamonix, con Ricky Accomazzo, all’epoca la scalata su ghiaccio più difficile delle Alpi, e la sua è stata una delle prime volte in cui una cordata ha bivaccato sospesa su chiodi da ghiaccio.

“Più che un amico e un compagno, Tobin è stato un’esperienza irripetibile. Ha risposto alla domanda fondamentale di The Stonemaster ‘chi sei veramente?’ in modi che non potremo mai comprendere appieno. […] Dio doveva adorarlo. È l’unica spiegazione del perché Tobin sia sopravvissuto alle gigantesche cadute che registrava ogni fine settimana. […] Ma finché visse, i suoi obiettivi superarono le sue capacità, o quelle di chiunque altro. Eravamo troppo giovani per capire dove tutto questo avrebbe portato, ma dal giorno in cui ha iniziato ad arrampicare, Tobin Lee Sorenson era un uomo morto. Credo che la forza selvaggia che lo spingeva e il suo magnifico senso di determinazione derivassero, in gran parte, dalla sua venerazione per la storia dell’arrampicata. […] Sebbene avrebbe considerato blasfemo paragonare qualsiasi scalatore all’Onnipotente, Tobin avrebbe comunque rischiato la tua vita e la sua per assicurarsi un posto accanto a Salathé, Pratt e Bridwell.”
John Long

Pare che Tobin volesse dimostrare qualcosa a Dio con le sue manifestazioni di coraggio, o meglio, di follia e talvolta sprezzo per la vita, ma sta di fatto che lui ha cambiato il paradigma del gruppo degli Stonemasters: dalle bravate a un gioco serio, che mette a rischio la vita propria e quella degli altri.
E questo cambiamento divenne ancora più evidente con l’arrivo del nuovo Stonemaster, John Bachar, un ragazzo dal talento naturale e con una dedizione quasi ossessiva all’allenamento e all’arrampicata, che divenne presto una tra le figure più importanti dell’arrampicata nel XX secolo.

“Sebbene John abbia sempre seguito la sua strada, sia sulla roccia sia con il sassofono con cui ci torturava, all’inizio lo faceva nel contesto del gruppo e noi tutti provavamo estasi nel vedere John scalare dove nessun alpinista era mai arrivato prima. Se mai uno Stonemaster ha portato il nome sulla manica (e lo ha anche scarabocchiato sugli scarponi), quello è stato John Bachar, Gran Templare dell’intero movimento.”
John Long
E la storia continua.
Era il 1973. Il gruppo era ormai al culmine dell’energia e dell’entusiasmo, e li mostrò in alcune grandi ascensioni, come il Vampire, una vecchia via artificiale di circa 250 metri aperta da Royal Robbins e che seguiva la linea più audace sulla parte più brulla del Tahquitz, una parete che era quanto di più simile a una big wall nel sud della California. Con tre tiri consecutivi di 5.11, il Vampire era, insieme alla Nabisco Wall dello Yosemite e alla Naked Edge dell’Eldorado, una delle prime vie di arrampicata libera multipitch in America.
“La via Vampire portò naturalmente alla prospettiva più improbabile di arrampicata libera a Idyllwild: Paisano Overhang, una fessura su tetto di circa 8 metri che fu scalata in libera con un grado di difficoltà 5.12c (il grado non fu stabilito fino a un decennio dopo, quando Randy Leavitt e Tony Yaniro inventarono la tecnica di arrampicata nota come ‘Leavittation’ per conquistare la seconda salita in libera). La combinazione di movimenti agghiaccianti su fessure larghe e protezioni A3 ci ha fornito un metro di misura futuristico per valutare qualsiasi altra fessura sulla faccia della terra. Se riuscivamo a scalare qualcosa di così difficile e scarsamente protetto come Paisano (una caduta avrebbe probabilmente causato la frattura della schiena), cosa avrebbe potuto fermarci? E così, sulla scia di queste scalate, abbiamo compiuto il nostro pellegrinaggio estivo verso il palcoscenico più grandioso dell’arrampicata su roccia: la Yosemite Valley.”
John Long


Ed ecco allora i nostri Stonemasters pronti a entrare nello storico Camp Four. Nel 1973 questo gruppo di ragazzi, la nuova generazione, erano pronti per conquistare il loro spazio nella grande valle dello Yosemite.
Robs aveva già scalato la parete ovest di El Cap, quindi gli altri dovevano recuperare.
“Richard e Kevin Worrall diedero il via alla stagione con una delle prime ascensioni della Direct Route sull’Half Dome. Ricky, Gib e il futuro eroe alpino Jay Smith scalarono The Nose e io li seguii rapidamente, unendomi all’asso britannico Ron Fawcett. Subito dietro di noi scalarono Richard e l’alpinista inglese Nick Estcourt. Durante quei primi mesi, gli Stonemasters vivevano sulle pareti.”
John Long
I ragazzi diedero subito sfoggio delle loro abilità superando i loro primi VI gradi, ma la conquista più grande fu il legame che strinsero con uno dei più esperti scalatori su roccia al mondo e tra i pionieri della Yosemite Valley, Jim Bridwell, ‘The Bird’, un mostro sacro che si nutriva di incertezza e di avventure mai vissute prima.
Grazie a lui gli Stonemasters incontrarono Mark Chapman, Kevin Worral, Ron Kauk, Werner Braun, Billy Westbay, Ed Barry, Jim Orey, Rik Rieder, Dale Bard e molti altri.

“Era un gruppo eterogeneo. La natura aveva dato ad alcuni la calma, ad altri la ferocia, ma tutti riuscivamo a vedere meglio la luce del giorno dall’alto. Era difficile arrivare in alto, dove il margine di errore è sottile come la lama di un coltello e la vita è semplicemente trascurata. Più persone avevano camminato sulla luna che su alcune di quelle rocce di granito. […] Ma stavamo toccando la vita, scoprendo chi potevamo essere, e in questo c’è della magia. E così abbiamo amato quegli alti luoghi con devozione e gratitudine. Ci siamo circondati di persone che facevano sorridere i nostri cuori, ci siamo impegnati in attività intense e, come era stato promesso ad Alice, abbiamo trovato il Paese delle Meraviglie.”
John Long
L’entusiasmo di questi californiani del sud esplose, a tal punto che si diffuse su tutti e nel 1974 gli Stonemasters contavano già 25 membri. Nel ’75 diventarono quasi tutti membri del club più informale del pianeta a Camp Four.

Giovani animati dalla controcultura diffusa in quegli anni, ma lì c’era qualcosa di straordinario, unico, un “esperimento esistenziale che armonizzava le esigenze di un’intera generazione di emarginati irrequieti. Ben presto ha assunto una vita propria e il lavoro dello Stonemaster era finito” (John Long).
“Nel corso degli anni i vestiti stravaganti, il gergo e gli atteggiamenti sono diventati fini a se stessi, non più determinati dal superamento dei nostri limiti. Avevamo attraversato questo particolare oceano innumerevoli volte e, nel frattempo, lo Stonemaster era diventato poco più che un formidabile marinaio del granito, una rarità quando avevamo affrontato per la prima volta Suicide e Joshua Tree, ma non più. Poi Tobin morì mentre tentava di scalare in solitaria la parete nord del Monte Alberta (un’impresa successivamente tentata da un altro Stonemaster, Mark Wilford). Tobin aveva guidato con coraggio e costanza tutti gli Stonemasters, quando ogni vetta e ogni traguardo sfociavano in qualcosa di nuovo; ma questa volta ci aveva condotti in una terra di nessuno, dove il futuro era senza uscita e senza possibilità di ritirata.”
“Abbiamo semplicemente chinato il capo e fissato le nostre scarpe. Tutto era fugace. E quando qualcuno se ne andava, non rimaneva più nulla di lui, per sempre, ma ci vuole il resto della vita per accettarlo. Se mai ci si riesce.”
John Long
Una riflessione, quella di John Long dettata anche dall’esperienza che gli Stonemasters fecero nella squadra di soccorso (nella quale dovevano entrare se volevano restare oltre i sette giorni imposti come limite al campeggio in Yosemite). Lì dovettero confrontarsi con gli incidenti dei loro amici o, nei casi più gravi, con la morte.
Davanti alla morte, soprattutto quella dell’amico e compagno di cordata Tobin, se ne va anche l’ultima traccia di quell’innocenza, dell’incoscienza giovanile che ha caratterizzato il gruppo ai suoi esordi nella California del Sud e poi nella Valle.
“L’innocenza era la linfa vitale di ogni Stonemaster. Il nostro dolore non era nulla in confronto all’ingiustizia che provavamo, che ci lasciò sgomenti e indignati. Sicuramente lo avevamo previsto e Tobin era essenzialmente morto per mano sua. Ma in quel momento odiavo Dio. Si viene al mondo credendo che un cuore coraggioso vivrà per sempre. Quando si impara che non è così, si può amare ancora una volta, ma non si è mai più la stessa persona.”
John Long
La filosofia degli Stonemasters, e quello che le ha permesso di diffondersi rapidamente e in ogni parte del mondo, era l’apertura verso tutti, l’invito a partecipare. Ma questo affollò sempre di più il posto e quel forte legame che c’era prima, quando il gruppo era ristretto, si dissolse pian piano.
“È stato allora che ho capito che uno Stonemaster, nella sua forma pura e originale, poteva essere solo un ragazzo con uno spirito irrequieto e sogni irrealizzati. E io non ero più un ragazzo con dei sogni, ma un uomo con delle storie e degli scheletri nell’armadio. Grato? Assolutamente sì. Avevo navigato, un po’ per caso, nel punto critico tra culto e cultura, avevo visto il mondo cambiare davanti ai miei occhi. Ma Yosemite e io avevamo chiuso. All’improvviso mi ritrovai a fissare un vuoto così vasto da mettere in ombra tutti i miei precedenti incontri con il nulla.
Un saggio amico mi disse che una volta compresa la natura di questo vuoto, simile a una burrasca atlantica, è possibile tracciare una rotta per attraversarlo. Oppure ci si può divertire a giocare a nascondino sul ponte mentre il vento riduce le vele a brandelli. L’unica rotta che conoscevo era quella di tornare a Yosemite e mi bastarono pochi giorni e alcune scalate per capire che stavo giocando a nascondino ancora una volta.”
John Long
Prima che Richard si trasferisse per sempre in Nevada, John Long si ritrovò con lui per un’ultima chiacchierata nel Basement…
“Con il Nuptse come testimone, librandoci sopra il travetto polveroso, ci raccontammo, tra sudore e paura, ma soprattutto tra le risate, come ci avvicinammo allo Stonemaster, che non era tanto un essere quanto un’isola nelle nostre anime. Attraverso molte epopee lo abbiamo trovato, sforzandoci di diventare ciò che più veneravamo, anche se non grazie alle nostre abilità nel trovare la via, ma piuttosto perché lo Stonemaster ci aveva cercato per tutto il tempo. Non c’era altro modo per trovare il Paese delle Meraviglie, dove i giovani e forti si fermano per un po’ e si spinogno il più lontano possibile. Ogni vecchio Stonemaster conosce quel luogo, sente ancora il vento sul viso. E in altri luoghi e in altri modi potremmo saltare oltre noi stessi. Ma solo i giovani possono vivere su quelle pareti scoscese, e noi non saremmo più tornati lì.”
John Long
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Fonte: l’articolo su climbing.com con i testi di John Long.
Per i video
Foto e montaggio: Dean Fidelman
Animazione e montaggio fotografico: Ted Distel
Direttore artistico: Tyler Hartlage
Produzione: Delaney Miller
Ascolta l’articolo nel podcast Andata e ritorno!
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Una opinione su "Gli Stonemasters attraverso gli occhi e le parole di John Long"