Scelgo alcune vie e gliele propongo. Me l’ha detto lui: a me la scelta. Azzardo. Perché so che posso contare sul compagno di cordata. E io in un modo o nell’altro dalla via ci esco.
Ma non scelgo questa via perché voglio fare bella figura e puntare in alto: la seleziono perché è tra i miei progetti, perché è un itinerario che ormai si può definire quasi sportivo, data l’aggiunta di vari spit nei tiri e alle soste, quindi mi sento già più sicura (parlo per me, lui su questi gradi probabilmente si scalda per affrontare i suoi). E poi è una delle vie storiche della Valle del Sarca, passa sulla meravigliosa parete del Colodri, è stata aperta dal basso da due forti arrampicatori e dicono che la linea sia veramente interessante.

Scelgo Mescalito e con Rolando Larcher è dove so che ce la posso fare. O meglio, uscire sana e salva, almeno.
A lui questa via manca, quindi il progetto è perfetto. Peccato che le mie mani un po’ tremino, ma faccio finta di niente. Forse non se n’è accorto.
L’ho intervistato qualche mese fa e non ci ho pensato due volte quando mi ha detto che magari un giorno avrei potuto scalare con lui. Anzi, no, ci ho pensato più di una volta, ma poi mi sono detta: quando mi ricapita? Io gliel’ho ricordato. E lui una giornata per salire una via l’ha trovata.
Con la battuta sempre pronta, con la simpatia scontrosa di chi ne sa e ne ha vissute parecchie nell’ambito, con l’umiltà dei più grandi e con un’educazione e una generosità che poche volte ho incontrato, Rolando Larcher mi ha fatto un regalo che non dimenticherò. Esagerata? Pensala come vuoi, ma per me è così.
“Che fai con quell’albero di Natale addosso, molla giù tutta ‘sta roba che te la porto io: abbiamo tempo, tu pensa solo ad arrampicare bene e divertirti. Oggi relax!”
Iniziamo bene… Così ho fatto: ho levato tutto dall’imbrago (due moschettoni in più compresi) sbarazzandomi probabilmente di un chilo o più. Ho ascoltato i suoi consigli, imparato alcuni trucchi e qualche tecnica del mestiere che non conoscevo. Con il mio caratteraccio mi ci vogliono un po’ di volte prima di seguire i suggerimenti (il mio compagno di cordata Paolo lo sa bene), ma come si fa col Rolly?
La via Mescalito è stata aperta da Renzo Vettori e Renato Bernard nel 1982: strabiliante se pensiamo che questi due scalatori hanno trovato una linea logica che vince una parete liscia con difficoltà contenute (i passi indicati come A0 sono di 6c e 7a, mezzo grado più, mezzo grado meno). Sono state usate poche protezioni e la via è stata aperta dal basso: “ritengo abbia rappresentato in quegli anni un passo avanti nella storia dell’arrampicata in Valle del Sarca e non solo…” (dalla guida di Diego Filippi).
Le tacche e gli appoggi lisciati dalle tantissime ripetizioni hanno a mio parere aumentato un po’ la percezione della difficoltà del grado, ma la logicità, la qualità della roccia e l’arrampicata che caratterizzano questa via la rendono davvero interessante e meritevole di essere ripetuta.











“Invece di attaccarti al rinvio, prova il passo, ragionaci sopra, non c’è fretta!”.
Una massima verità che io non sopporto ascoltare: se potessi salire solo tiri a vista sarebbe un altro sogno realizzato. Ma proprio io parlo? Ci devo lavorare, lo so: mettere da parte la fretta, riflettere e provare, trovare il movimento e la sequenza adatti a superare il passo, in libera ovviamente. Ah, la libera: senza nulla togliere all’artificiale estremo per cui oltre al pelo sullo stomaco ci vuole tecnica e arguzia, la libera è un’espressione dell’arrampicata che si avvicina al Nirvana.

E con uno dei massimi esponenti della libera mi sono divertita, tanto. Ho combattuto la mia testardaggine fronteggiando la sincerità di una persona che senza mezzi termini dice come stanno le cose. Ho provato i passi, mettendo da parte il mio orgoglio. Ho sperimentato. Facile con accanto personaggi così, con cui ho avuto e ho la fortuna di scalare, vero? Sì, lo ammetto, ho provato questa fortuna e lo ripeto: ne sono davvero felice.

Con il sorriso stampato in faccia (tranne che in diversi passi di questa meravigliosa via) dalla cima della parete del Colodri osservo il sole che cala sul lago: mi appare diverso e rifletto sulla felicità. Quella che tante volta mi manca quando i piedi sono saldi al suolo e la mante continua a essere attratta da una misteriosa forza che mi porta verso l’alto, in verticale.
La giornata sta per concludersi, un saluto al mito e via in macchina verso la Vallarsa. Gli alberi avvolgono la strada con le gradazioni delle loro foglie: verde, arancio, giallo, rosso. La distesa autunnale di sfumature calde introduce il Carega, il Pasubio e il Sengio Alto. Sto tornando a casa e la stanchezza non supera l’adrenalina che ho ancora in corpo.
Io sono quella che dalla finestra guarda lo spettacolo che c’è fuori, ma a volte capita di trovarcisi dentro.
Mai come in parete riesco a scindere le diverse sensazioni che si mescolano nella mente. O nell’anima, per chi ci crede. Quando arrampico e poi mi trovo alla fine della via, riesco a trovare la pace e a comprendere quanto davvero sono fortunata.
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