Il tempo incerto ci porta davanti al Colodri ad Arco per salire la via Katia Monte, un itinerario classico della Valle, aperto da Giuliano Stenghel e Franco Monte nel 1976. Presente tra i miei progetti, approfittiamo della salita per goderci una scalata tranquilla e rilassata. Si fa per dire. Se la giornata è no, a volte nemmeno una bella arrampicata te la fa passare del tutto. Ma aiuta. Dobbiamo concentrarci sul lato positivo della vita qualche volta, non trovi? Lo dico sempre, me lo propongo sempre, non sempre lo faccio… ma quando non mi ricordo che esiste anche quella parte che definiamo bicchiere mezzo pieno, per caso o per fortuna, è la vita stessa che mi ammonisce, mostrandosi nel suo aspetto migliore. Per sbaglio o per caso.
Iniziamo sfruttando la facile rampa a sinistra dell’avancorpo, per poi proseguire nella traversata unendo facilmente il secondo e il terzo tiro. La quarta lunghezza presenta un passaggio di forza e un po’ levigato dalle ripetizioni, ma ben protetto. Il quinto tiro si introduce con un tratto in traverso su placca con piedi molto aleatori, ma anche questo è ben protetto a fix. Nel frattempo abbiamo già incontrato la via Sommadossi, la Renata Rossi e la Guru Bassi. Non amo molto gli incroci, ma su una parete così bella capisco che l’attrazione è forte.













La via prosegue, ma a un certo punto si incrocia con un’altra via. Mannaggia, mi è ricapitato! Le protezioni iniziano a scarseggiare e le difficoltà appaiono un po’ più complesse. Eppure la relazione sembra proprio quella che stiamo seguendo. Fino a una fessura che sale verso sinistra e che noi, sopra la sosta, vediamo andare a destra. Siamo fuori via, ok, ma su quale siamo? Ci ritroviamo con ben due soste a pochi metri da noi e l’una dall’altra. Non ci resta che proseguire e uscire sulla cima del Colodri.
Arrivati a un’altra sosta apriamo il barattolo del libro di via e dentro ritrovo il mio vecchio schizzo dell’Incompiuta che lasciai qualche tempo fa quando la salii con Enrico a fine 2023. Come ho fatto a dimenticarmela?

Possiamo parlare della via Katia Monte Incompiuta. Rimedierò.
Per caso mi sono persa e per sbaglio mi ritrovo in questo pezzo di carta spiegazzato e strappato. Forse quella volta dovevo tenerlo con me. Forse non sempre perdersi è uno sbaglio. Forse devo tornare per completare la via. Ma ciò di cui sono certa è che ritrovarmi è stato divertente e il sorriso non è mancato nemmeno oggi, nonostante oggi.
Il sole non si è fatto vedere, ma c’è.

Riporto qui sotto uno scritto di Giuliano Stenghel sull’apertura di questa bella via.
“Ti ricordi Franco, quando dopo aver scalato la via Ornella in Val Scodella ci godevamo gli ultimi raggi del sole che tramontava sul Biaéna? Era il nostro primo incontro dopo tanto tempo, molti anni erano trascorsi da quando giocavamo spensierati sotto casa. Seduti fra corda, cordini e moschettoni, sorseggiando un po’ d’acqua rubata alla borraccia apristi il tuo cuore, la tua cicatrice dolorante per raccontarmi la tua vita, l’episodio che ha segnato l’esistenza tua e della tua famiglia: la lunga ma-lattia, la morte della tua bambina, Katia, di soli cinque anni d’età, volata come solo sanno fare gli angeli, in Paradiso. Mi proponesti di aprire una via che portasse il suo nome: e alcuni giorni dopo ci legammo assieme per vincere l’inviolata parete Est di cima Colodri.
Mentre recupero la corda, il mio sguardo si perde sui grandi massi sottostanti la parete (Marocche di Prabi), ho ancora in bocca il sapore gradevole dell’abbondante caffè offertoci dal Bepi, il vecchio del Colodri. Lo vedo, vicino alla sua casetta, lavorare il suo terreno con la forza nelle mani del giovane contadino. Proseguo traversando lungo una parete senza appigli, mi calo sulla corda rinviata a due chiodi ed oscillo: il mio primo pendolo verso l’ignoto.
Ho sempre amato i traversi! Probabilmente perché attraversando ho risolto delle vie che sembravano inaccessibili, oppure per la gioia estetica che dona l’immagine dell’uomo in risalto sull’orizzonte, sulla verticalità che appare realmente come è.
Ci muoviamo lenti a causa dei grossi scarponi, dello zaino che tutti e due portiamo in spalla, ma siamo soprattutto appesantiti dal bagaglio della nostra inesperienza: arrampichiamo da poco più di un anno.
Possediamo però lo stesso ideale, lo stesso sogno e tutte le motivazioni necessarie per avventurarci, lottare, soffrire. Per superare un passaggio, in un ‘caròl’ metto tre chiodi, costruiti artigianalmente.
Poveri chiodi, un giorno qualcuno vi toglierà, nonostante centinaia di cordate vi abbiano usati, amati, e vi sostituirà con degli ‘spit’ e sicuramente lo farà calandosi dall’alto e con un comodo trapano.
Qualcuno di questi chiodi rimarrà forse dimenticato e servirà per non cancellare la storia, per non annientare i ricordi, l’arte, la fatica dei primi salitori.
Povero, indispensabile chiodo! non sei più di moda: sei vecchio e superato come chi ti ha conficcato sulla montagna; che fine ingloriosa il giacere in qualche mucchio di ferro di un rottamaio.
Non rivoltarti nella tomba, non ne vale la pena! Un giorno risorgerai!
Ora le difficoltà sono diminuite, arrampichiamo velocemente sfruttando la variante Groaz.
Oltre la comoda cengia, a metà via, la parete ricomincia verticale, alternata da alcuni strapiombi che ci impegnano, offrendoci però un’arrampicata magnifica, in un vuoto esaltante.
Una breve sosta, sotto l’ultimo salto, gli ultimi tiri di corda; infine il libro di via, la fotografia indimenticabile di Katia sorridente e la tua dedica: poche parole, una preghiera, una lacrima…
Si può piangere in montagna? Credo di si se ci vai con il cuore.”
Giuliano Stenghel, dalla guida di Diego Filippi ARCO Pareti.
Ciao Giuliano. Mi dispiace, ho perso la via, ma non cade il mondo: ci ritroviamo presto su Katia Monte!
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