Stonemasters: la vita come un fulmine a ciel sereno

Che ne dici di tornare con me negli anni ’70? Ma non in un posto qualunque, ti chiedo di trasferirti con me nello Yosemite degli Stonemasters! Eh sì, un’altra volta, ma oggi andiamo a conoscere i diversi arrampicatori che divennero una parte fondamentale nella storia dell’arrampicata americana e nella sua evoluzione.

Dai, ormai ci sei dentro! Continua…

Yablonsky – Dean – Hill – Long

Libertà, ma anche allenamento costante per scolpire addominali invidiabili. Natura selvaggia, brivido, spirito di avventura, incoscienza: il mondo di questi arrampicatori aveva pochi ma solidi pilastri e tra questi uno era l’arrampicata, in qualunque modo, senza senno di poi. Ma sempre con stile!

John Bachar, Tobin Sorenson (juggling), Gib Lewis, and Ed Lasley in Joshua Tree, 1973. Photograph by Kim Cooper

Il gruppo venne fondato da Rick Accomazzo e John Long e originariamente il loro campo d’azione era il Joshua Tree National Park in California: ma questa è un’altra storia che ti racconterò in futuro.

Map from the 1979 edition of John Wolfe and Bob Dominick’s A Climber’s Guide to Joshua Tree National Monument.

Gli Stonemasters erano i ribelli della roccia e tra i tanti ne andiamo a conoscere qualcuno. Sono loro e molti altri ad aver proseguito la strada dei pionieri della Golden Age, evolvendo l’arrampicata sulle Big Wall.

“Sono stati loro a preparare il terreno tecnico e mentale che ha permesso alle leggende più giovani dello Yosemite come Peter Croft, Dean Potter, Beth Rodden, Tommy Caldwell e Alex Honnold di portare l’arte del free climbing e del free solo a livelli inimmaginabili.

Dotati di attrezzature in parte autocostruite, corpi temprati e menti tranquille (si fa per dire, ndr), gli Stonemasters hanno scelto le pareti dello Yosemite come El Capitan, il Column, l’Half Dome e la Middle Cathedral come loro terreno di gioco. Seguendo la loro etica di sportività estrema e cameratismo, questi ragazzi e ragazze sono stati per l’arrampicata ciò che gli Z-Boys sono stati per il surf e lo skateboard.”

[da Rocks Off: Yosemite in the Seventies di Simon Schreyer]

È vero: fumavano marijuana, bevevano, erano dediti al divertimento e al chiasso, erano un po’ sbandati e alla ricerca di una stella che li guidasse, ma con il loro simbolo a forma di fulmine, che disegnavano con il gesso sulle pareti, hanno segnato un’epoca e compiuto salite che ancora oggi sono ricordate come spettacolari, avvincenti, pionieristiche. Magari un po’ avventate, ma è pur sempre storia.

La loro è la naturale evoluzione dell’approccio ‘fai da te e fallo a modo tuo’ di Royal Robbins, Warren Harding, Yvon Chouinard, Tom Frost, Chuck Pratt, Jim Bridwell, Ron Kauk e altri.

L’icona dell’arrampicata libera Lynn Hill ricorda: 

“ero una bambina negli anni ’60, quando le donne bruciavano i reggiseni e centinaia di migliaia di persone si riunivano in proteste contro la guerra del Vietnam. Come arrampicatrice mi sono sentita legata a una cultura anticonformista simile, contraria al crescente materialismo, all’inquinamento e alla corruzione della società. Il nostro approccio alla roccia (arrampicata pulita e tradizionale, con la minima dipendenza dall’attrezzatura) era un’estensione di questo punto di vista etico”.

[da Rocks Off: Yosemite in the Seventies di Simon Schreyer]

Lynn Hill, pictured in Yosemite, shows why she’s one of the best climbers, man or woman, to ever touch a rock. Photograph by Jim Bridwell

“[…] se considerati nel loro insieme, il più grande contributo degli Stonemasters allo sport diventa evidente: l’unità e l’altruismo. La loro è l’eredità di un tempo e di un luogo tanto eterni quanto effimeri, che ci offre un esempio lampante in cui i giovani sono stati abbandonati, ma la giovinezza non è stata sprecata dai giovani”.
Courtney Eldridge

The headband, a Stonemaster style staple, keeps Ron Kauk’s hair back while bouldering.
 Photograph by George Meyers

“Gli Stonemasters furono gli ultimi grandi scalatori tradizionali, che dopo una caduta tiravano la corda e provavano da terra o dall’ultima no-hands stance a superare direttamente il passaggio.
[…] Ok, sono piuttosto affascinato dalla leggenda degli Stonemaster. È davvero emozionante risalire alle loro origini…”
[Doug Robinson in THE STONEMASTERS: CALIFORNIA ROCK CLIMBERS IN THE SEVENTIES]

Jim Bridwell (The Bird)

Fonte: lodownmagazine.com

Nella Yosemite Valley i suoi mentori sono stati Layton Kor, Frank Sacherer, fisico teorico, e Chuck Pratt. Negli anni ’70 ha poi intrapreso la sua strada, aumentando i livelli di difficoltà e la velocità nell’arrampicata su grandi pareti. Non solo: grazie a un’elevata forza mentale ha superato molte barriere psicologiche e ha realizzato parecchie nuove ascensioni in tempi record. Fu nel 1975 che Bridwell guidò la prima ascensione in un giorno del Nose su El Capitan  (un’idea di Frank Sacherer) con John Long e Bill Westbay. 

The legendary trio in front of El Cap in 1975. Bridwell is in the center. ©Coll. Bridwell

“Il 21 giugno 1975 Jim Bridwell si assicurò un posto nella storia di El Capitan quando lui e i suoi compagni scalarono la parete più alta dello Yosemite in un solo giorno. Prova a immaginare: Harding aveva impiegato 47 giorni per scalare i 1.000 metri del Nose nel 1958 e sarebbero passati 36 anni prima che Lynn Hill realizzasse la prima scalata in libera in un solo giorno. Nel 1975 il Nose-In-A-Day fu rivoluzionario. Bridwell, l’artefice dell’impresa, era uno straordinario scalatore e alpinista a tutto tondo che in seguito avrebbe compiuto la prima vera ascensione della via del Compressore sul Cerro Torre di Cesare Maestri.
[…]
Bridwell e i suoi compagni hanno scalato i primi tiri dopo aver memorizzato ogni movimento, ogni mossa: “i tiri scorrevano veloci come i dollari sul tassametro di un taxi newyorkese. John ha scalato le Stoveleg Cracks con la sicurezza da veterano dello Yosemite quale era. Abbiamo raggiunto la cima della Dolt Tower alle 6:15. Qui il nostro clamore ha svegliato dal sonno due alpinisti che stavano bivaccando. Con gli occhi assonnati uno di loro ci chiese dove fosse il nostro saccone. Risposi indicando un piccolo zaino che avevo sulla schiena. La sua espressione divenne ancora più perplessa quando vide il nostro bizzarro abbigliamento. Con i nostri pantaloni viola e rosa a doppia trama, indossati con camicie a motivi africani, apparivamo come un’allucinazione discutibile a qualsiasi occhio, assonnato o meno”.”
[da EL CAPITAN, 1975 : JIM BRIDWELL’S VISIONARY ASCENT OF THE NOSE IN A DAY di Jocelyn Chavy]

Non erano in tanti ad arrampicare con The Bird, perché la sua voglia ossessiva di superare i limiti faceva paura, ma nonostante la sua età non più giovanissima, divenne mentore degli Stonemasters. Non un leader, ma un membro onorario che però era contrario al free soloing, che i giovani Stonemasters iniziarono a praticare (ricordiamo il mitico John Bachar).

Jim Bridwell – fonte: lodownmagazine.com

“Chi vive di spada, muore di spada. Il soloing è una buona forma di suicidio. Quando lasci cadere qualcosa, cade. È la realtà cosmica, la gravità. Anche le cose si rompono, si chiama erosione. Il free soloing ti espone alla giustizia naturale, che è l’inevitabile conformità dalle cause ai risultati. In altre parole, se lo fai abbastanza, finirai per ucciderti. Ho fatto tre cadute in cinque anni e tutte e tre sono state causate dalla rottura degli appigli, che si sono staccati. Stavo facendo free climbing con una corda. Non sono un suicida, anche se alcuni potrebbero non essere d’accordo. C’è una linea sottile tra audacia e stupidità, così come c’è tra prudenza e codardia. […] Devi conoscere i tuoi limiti. Rimanete entro i vostri limiti, ma, come dice Lionel Terray: “Cogliere i fiori al confine dell’impossibile richiede una grande forza morale”. Bellissimo! È francese.”
Jim Bridwell da lodownmagazine.com

Richard Harrison

The Great Roof on the Nose, El Capitan, 1976. (Photo: Gib Lewis)

Con oltre 40 anni di arrampicata su roccia alle spalle, Richard si è guadagnato la reputazione di visionario. Innumerevoli sono le sue prime ascensioni di vie nei parchi nazionali di Joshua Tree e dello Yosemite, Taquitz, Suicide e Lover’s Leap, in California. Pioniere dell’arrampicata su roccia nella Red Rock National Conservation Area, ha aperto alcune delle vie più popolari della zona, oggi apprezzate dagli scalatori di tutto il mondo. Ha anche chiodato il Lamoille Canyon e altre zone in tutto il Nevada. Suo è The Basement, luogo di ritrovo dove insieme a Long e altri sono nate numerose idee, tra cui lo stesso nome Stonemasters.

Lynn Hill

Arrivò nella Yosemite Valley nel 1978 a 17 anni ed entrò negli Stonemasters grazie alle sue abilità, al talento e all’indole. Una prova? Nel 1993 fu la prima a salire in libera The Nose a El Capitan (VI 5.14a). Famosa fu la sua esclamazione all’uscita: “It goes, boys!”. 

Lynn Hill – underneath the final overhang on The Nose – El Capitan – © John Bachar

Nel 1979 è stata la prima donna a scalare una via 5.12d e una via 5.14 nel 1991, tre anni prima di qualsiasi altra donna. 
Nel 1992 Lynn è stata anche la prima donna a scalare a vista una via classificata 5.13b.
Ha vinto più di 30 competizioni internazionali, tra cui cinque volte l’Arco Rock Master.
In Kirghizistan ha scalato in libera due grandi pareti di 5.12: la parete ovest del Peak 4810 con il compianto Alex Lowe e la Perestroika Crack del Peak 4240 con Greg Child. 
Nel 1999 Lynn con altre arrampicatrici sono state in Madagascar per compiere la prima ascensione di una parete di granito alta 600 metri. Questa via si è rivelata forse la prima ascensione più difficile di una Big Wall mai compiuta da una squadra di donne (5.13d/A0 – 5.12c obbligatorio).
Ma questa è solo una minima parte del suo curriculum!

Mike Graham

Mike Graham

Fisico lungo e snello da nuotatore olimpico, spensieratezza di un surfista (era cresciuto a Newport Beach), un talento naturale, coraggio da vendere e la grinta di un beatnik. Secondo Jim Bridwell Mike fu il miglior scalatore che avesse mai visto. Gramicci salì un layback di ventiquattro metri senza protezioni a vista, linea non ancora ripetuta del Gold Ribbon, sulle Ribbon Falls, nello Yosemite. 

Creò il primo logo Stonemaster, il fulmine, che venne inciso per sempre sotto uno dei boulder più famosi al mondo, il Midnight Lightning. 

Brian Ludovici sending Midnight Lightning. Photo: Fidelman

Ma perché ‘Gramicci’?

““Era il 1974 e a Yosemite era molto popolare tra gli scalatori europei venire qui e rivendicare la prima ascensione francese del Nose o la prima ascensione italiana del Salathé. […] Abbiamo pensato: ok, che tipo di ascensione potremmo rivendicare? Ed è allora che ci è venuta l’idea della prima ascensione pulita italiana dell’Half Dome.”

[…] Dennis Hennek, Doug Robinson e Galen Rowell avevano conquistato la prima ascensione pulita della RNWF dell’Half Dome nel 1973. La loro impresa gli era valsa la copertina del National Geographic. Graham voleva la tanto ambita seconda ascensione pulita.

[…] Graham, allora diciassettenne, e i suoi compagni Gib Lewis (18) e Rick Accomazzo (18) sistemarono i loro hexes e dadi al Camp 4 sotto una fitta nebbia di fumo del falò. 

“Forse c’era della birra o forse qualcos’altro (immagino marijuana)”, iniziarono a scherzare inventando i loro nomi italiani. “Rick non ha dovuto fare nulla con il suo nome perché era italiano. Abbiamo deciso di chiamare Gib Lewis Antonio Gibbo. E io ho sempre ammirato molto Emilio Comici, quindi io ero Michelangelo Gramicci. Tutti al Camp 4 hanno iniziato a chiamarmi Gramicci perché abbiamo rivendicato quella scalata, e da allora quel nome mi è rimasto”.”

[Da Interview with Mike Graham: Founder of Gramicci and Stone Master Press di Chris Van Leuven]

Gib Lewis 

Capigliatura afro bionda e una curva di apprendimento che non si è mai appiattita. Surfista e sciatore con record di discese più difficili mai registrati.

Tobin slacklines a wire while fellow climbers Dean Fidelman and Gib Lewis look on. Credit: Kim Cooper

Tobin Sorenson

Secondo Accomazzo era il miglior scalatore al mondo dell’epoca e si dedicò all’alpinismo con la stessa abilità con cui si dedicava all’arrampicata su roccia. Nel 1980 Sorenson morì in un incidente sul Monte Alberta all’età di venticinque anni. Dopo la sua morte arrampicare per gli Stonemasters non fu più lo stesso.

Tobin – photo by Richard Harrison

Diversamente dai suoi compagni Stonemasters, Tobin aveva rinunciato alle droghe e all’alcol e scalava in nome del Signore. Ha stabilito standard elevati in quasi tutte le sue scalate e poi si è dedicato all’alpinismo, sconvolgendo il mondo.

Tobin Sorenson extends for the bucket at the crux of The Vampire in 1974. Credit: Bruce Nyberg

Accomazzo riassume così le ragioni per cui lo definisce ‘il miglior scalatore del mondo’ alla fine degli anni ’70:

“nel giro di un anno, a partire dall’agosto 1977, dopo una lunga pausa, scalò le pareti alpine più difficili d’Europa, aprendo quattro nuove vie (di cui due sulle leggendarie Big Wall del nord), la prima ascensione in stile alpino dell’Eiger Direct e la terza ascensione invernale in solitaria della parete nord del Cervino. Aveva scalato le vie più difficili dello Yosemite con uno stile quasi perfetto, in un periodo in cui la Yosemite Valley ospitava le arrampicate su roccia più difficili al mondo. Infine, nello stesso anno, si cimentò nell’alpinismo d’alta quota e riuscì in un’audace scalata in solitaria a vista del Huandoy Norte, alto 6.344 metri. Nei due anni successivi è passato da impegnative prime ascensioni invernali in Canada a prime ascensioni sulle soleggiate scogliere australiane che hanno superato i gradi esistenti, a impressionanti prime ascensioni tecniche alpine in Nuova Zelanda.”

[Cameron M. Burns in TOBIN, THE STONEMASTERS, AND ME, 1970–1980: REMEMBERING TOBIN SORENSON, THE BEST CLIMBER IN THE WORLD di Rick Accomazzo]

John Long 

Arrivò in Yosemite nel 1969 all’età di 16 anni da Upland, in California.

“Il curriculum alpinistico di John è leggendario quanto le pareti di granito che ha conquistato. Ha avuto un ruolo fondamentale nell’aprire vie iconiche come Astroman e nel superare i limiti dell’arrampicata su grandi pareti a El Capitan. Il suo free soloing e il suo approccio innovativo al bouldering hanno elevato questa disciplina a forma d’arte, ispirando gli arrampicatori di tutto il mondo.

Al di là della roccia, la narrativa di John ha lasciato un’eredità altrettanto profonda. Autore di oltre 40 libri, tra cui la fondamentale serie How to Rock Climb, e di innumerevoli articoli per Climbing Magazine, ha saputo catturare lo spirito, l’umorismo e l’umanità del mondo dell’arrampicata. La sua prosa vivida e i suoi racconti straordinari gli hanno fatto guadagnare un posto tra le voci più amate dell’arrampicata.

Le avventure di John lo hanno portato ben oltre lo Yosemite, dalle imponenti guglie della Patagonia ai deserti di Joshua Tree, ma il suo cuore rimane radicato nell’etica dell’esplorazione, del cameratismo e del superamento dei limiti.”
[Fonte: vimff.org]

[Leggi l’articolo Gli Stonemasters attraverso gli occhi e le parole di John Long]

Jim Bridwell and John Long

Dale Bard 

Arrivò in Yosemite nel 1971 a 17 anni e visse a lungo in una tenda.

“Era un free climber di livello mondiale con innumerevoli prime ascensioni al suo attivo e un alpinista di grande talento nelle scalate artificiali su grandi pareti, con riconoscimenti all’altezza delle sue imprese.”
Dave Diegelman

“Bard era una forza tranquilla nell’epoca d’oro dell’arrampicata: non cercava mai i riflettori, ma lasciava sempre il segno. Negli anni ’70 e ’80 è diventato un punto di riferimento in Yosemite, aprendo vie ardite su grandi pareti e fessure. Ha vissuto appieno la vita da dirtbag, lasciando che fossero le sue scalate a parlare più delle parole.
Tra i suoi successi:
– Bushido su Half Dome, una prima ascensione di cui andare fieri,
– Sea of Dreams su El Capitan, una via leggendaria e impegnativa,
– Sunkist su El Capitan,
– i primi tentativi di liberare il Nose su El Cap, prima che un’idea del genere sembrasse possibile.” 
John Ricco

“Alcuni buddisti lo chiamano illuminazione. Ed è il modo migliore in cui posso descrivere cosa sia uno Stonemaster. Hai superato tutto. Hai superato l’allenamento, hai superato il talento, l’abilità naturale, perché è semplicemente parte del tuo essere. Questa è la definizione di uno Stonemaster.”
Dale Bard

Dean Fidelman 

È autore delle tante fotografie degli Stonemasters e di libri dedicati.

Eravamo tutti consapevoli di ciò che stava accadendo nel mondo del surf e pensavamo tutti che quei ragazzi fossero fantastici. Avevano stile. Ed è quello che abbiamo iniziato a portare nell’arrampicata: un certo stile. E tutto è iniziato con l’abbigliamento: i pantaloni bianchi da imbianchino, il sacchetto per la magnesite e poi la fascia per i capelli. Si è esteso anche al modo di arrampicare. Si arrampicava in modo super fluido, ma quando c’era una presa grande, ci si aggrappava. Si mostrava quanto si era forti e quanto si era fluidi. E poi non si usavano molte protezioni per dimostrare quanto si era coraggiosi.”
[in Meet the California Crew That Brought Sex, Drugs, and Free Jazz to Rock Climbing—and Made it the Most Stylish Sport of the 1970s]

Rick Accomazzo

Arrivò in Yosemite nel 1973 a 18 anni.

“Non puoi immaginare quanto sia grande El Capitan. È semplicemente sbalorditivo. Ti cambia la vita. Immagina il World Trade Center, una delle costruzioni più alte dell’emisfero occidentale: non è proprio così, ma due volte più alto. Ecco, quello è El Cap.”
[in Meet the California Crew That Brought Sex, Drugs, and Free Jazz to Rock Climbing—and Made it the Most Stylish Sport of the 1970s]

Psychedelic Kingdom – John Bachar – Mike Graham – Ron Kauk relaxing after a climb – 1976 – © Mike Graham

John Bachar

Viveva in un camper Volkswagen rosso degli anni ’60.

Dawn on El Cap – John Bachar – Archivio Mike Graham

[Leggi l’articolo Per John Bachar la gravità non era un limite]

John “Yabo” Yablonski

Una vita con lo zaino in spalla e la passione sfrenata per l’arrampicata.

John Yablonski hangs out on one of Yosemite’s big walls.
 Photograph by George Meyers

Conosci Midnight Lightning, l’iconico Boulder V8 presente al centro del Camp 4 in Yosemite? È stato salito la prima volta da Ron Kauk, ma a trovare la linea è stato John ‘Yabo’ Yablonski.
E Yabo ha ideato il sit start, che ha rivoluzionato la risoluzione di determinati movimenti nel bouldering.

(Ma come nasce il sit start di Yabo? Ne parlerò in un altro articolo…)

Yabo on Midnite Lighting – Photo by Dean Fidelman

“La sua immaginazione di livello superiore gli ha permesso di guardare oltre i limiti imposti dal presente e di trovare un percorso verticale verso il possibile”, afferma Fidelman. “Questa capacità di vedere la dualità dell’impossibile è stata pienamente dimostrata dal capolavoro di Yabo ispirato all’LSD, Midnight Lightning”.

Mari Gingery

“All’epoca la comunità di donne alpiniste esperte era piccola, ma c’erano alcune figure di spicco come Maria Cranor, Beth Bennett, Barbara Devine, Rosie Andrews, Louise Shepard, Gill Kent e Alison Osius, che alla fine degli anni Settanta praticavano l’alpinismo a livelli di tutto rispetto. La donna che ha avuto il maggiore impatto sulla mia vita è stata Mari Gingery. Mari era una delle poche donne che conoscevo che condivideva il mio amore per l’alpinismo. Tra i 18 e i 22 anni ho scalato con Mari quasi ogni fine settimana. Nell’estate del 1980 Mari e io abbiamo scalato insieme il Nose prima di intraprendere un progetto ancora più ambizioso: Shield su El Capitan. Senza molta esperienza nell’uso di chiodi, RURP o copperhead, Mari e io abbiamo impiegato sei giorni per completare la prima scalata femminile di questa via (classificata A4 all’epoca).”
Lynn Hill

Mari Gingery bouldering in Idyllwild. Photo: Fidelman

“Chiunque scalasse, lo conoscevi. All’inizio non c’era territorialismo, era una comunità amichevole. Eravamo tutti affamati della compagnia di altri scalatori.”
Mari Gingery

Fonte: Joshua Tree lifers establish new roots at a lost soul’s earthly home

“Questo gruppo informale di amici trovava anche il tempo di divertirsi nel campeggio, spesso con la disapprovazione del personale del parco che considerava gli scalatori un fastidio. Il fotografo-scalatore Brian Rennie ricorda come, in un’occasione, i ranger del parco minacciarono di arrestare i responsabili di aver issato un tavolo da picnic in cima all’Intersection Rock, che offriva una vista panoramica a 360 gradi mentre si cenava. Comprensibilmente, i ranger del parco non erano troppo contenti dello scherzo, ma non avevano prove di chi lo avesse effettivamente fatto. Quando il tavolo non fu rimosso dalla sua posizione, i ranger tornarono dopo un paio di settimane, questa volta offrendo una cassa di birra per la sua rimozione in sostituzione di un’azione legale. Il tavolo alla fine fu rimosso con il calare della notte.”
[Jennifer Kane in Landscape of Belonging: Joshua Tree’s Climbing Legacy]

Molti altri sono gli arrampicatori che hanno fatto parte degli Stonemasters e sai bene che nel mio testo ho citato solo alcune delle avventure di questi grandi protagonisti della storia dell’arrampicata americana di quegli anni.

Ma abbiamo tempo per continuare a conoscere, immaginare e magari farci ispirare da questo gruppo di ragazzi con un sogno e una vita, fatta non per esistere, ma per essere vissuta. A modo loro, ovviamente.


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