“Martina, se vuoi ti racconto un aneddoto.”
“Ma certo, ti ascolto!”
“È passato qualche anno da quando ci siamo trovati a sospettare di essere arrivati ai confini con l’inferno…”
“Già mi piace, prendo appunti.”
“Saranno state le 5 della mattina: io e mio fratello Placido ci trovavamo lungo il cammino che porta alla parete della montagna: eravamo lì per salire alla Punta Tissi per la via Philipp-Flamm. Sul sentiero che dal Coldai porta al Tissi camminavamo facendoci luce con le nostre frontali, quella della luna non bastava, quando circa a metà strada ci accorgemmo a circa 20 metri da noi, su una piccola altura, di una figura nel buio: da dove eravamo ci sembrava fosse un uomo, ma totalmente fuori dal comune. Sarà stato alto più di due metri, con un ampio cappello e un mantello. Questo essere abnorme dalle sembianze umane con le braccia al cielo vociferava di qualcosa che io e mio fratello non capimmo, versi e mugugni al cielo o alle montagne che ci circondavano. Era rivolto verso la parte nord-ovest del Civetta e non erano parole quelle che pronunciava.
Intimoriti da quella figura immersa nelle tenebre, decidemmo di spegnere le nostre frontali per passare inosservati e pian piano, con la pelle d’oca, raggiungemmo la parete della via.
Arrivati al diedro giallo iniziò a piovere e salire la via Philipp-Flamm sarebbe stato troppo azzardato. Ci calammo e ci voltammo per tornare al rifugio quando improvvisamente la pioggia cessò. La vetta della Civetta era ancora nascosta dalle nuvole, ma non la Torre Valgrande, che ospita la via Carlesso-Menti.
Dissi a mio fratello di affrontare l’itinerario per non sprecare la giornata.
Placido seguì l’indicazione corretta verso destra, io invece decisi di salire direttamente: c’era una specie di grotta, che avrei dovuto superare per trovarmi esattamente alla fessura d’attacco.
Salimmo e poco prima di arrivare all’attacco della via Carlesso-Menti, ci saremmo dovuti spostare a destra per poi innalzarci tornando a sinistra fino alla fessura iniziale dell’itinerario.
Nel frattempo sopra di noi, circa di un paio di tiri, un’altra cordata stava salendo la via.
Proseguii per passare la grotta: capii come fare il passaggio, ma alcune pietre instabili frenarono la mia ascesa e, per riposare prima di riprendere, tornai indietro nell’incavo.
Non ebbi il tempo di voltarmi verso la valle per affrontare il passaggio, quando sentii un’esplosione assordante sopra la mia testa. Uno della cordata sopra di noi volò a causa del distacco di un enorme masso, grande circa quanto un frigorifero, che esplose proprio nel punto in cui arrivai per superare la grotta e dove fortunatamente mi ritirai.
Io e mio fratello arrivammo all’attacco, con ancora addosso l’odore di zolfo, e salimmo la via, affrettandoci per raggiungere la cordata sopra. Non li trovammo, nemmeno in vetta.
Solo al ritorno ripensai alla scena: se non fossi tornato indietro nella grotta per riposare, quel masso mi sarebbe caduto addosso e non avrei potuto scampare all’impatto.
Se sono qui ora a raccontarti questo episodio è per la fortuna che ho avuto, ma ancora oggi non riesco a fare a meno di chiedermi se le invocazioni della mastodontica figura con cappello e mantello che vedemmo quella notte avessero lo scopo di farmi crollare addosso il masso o di salvarmi nella grotta. Collegai subito, d’istinto, quell’essere a ciò che mi successe.”
“Ma hai più saputo niente di quella specie di sciamano?”
“Macché, ancora mi chiedo chi fosse e cosa ci facesse lì.”
“Ma Tranquillo, l’avete visto entrambi, sei sicuro?”
“Certo, non è stata un’allucinazione e nemmeno un sogno!”
“Quando gli siete passati vicino, perché non hai chiesto chi fosse?”
“Ma scherzi? Eravamo terrorizzati da quella presenza così assorta nelle sue invocazioni. Forse è stato il mio angelo custode, perché se fossi riuscito subito a fare il passaggio, non sarei sopravvissuto. In quell’istante mi giocai davvero il jolly della vita.”
In montagna ci vuole esperienza, talento, resistenza, fortuna… ma forse anche qualcuno o qualcosa su cui contare.
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