Tra una risata e l’altra, intervistare questo esilarante arrampicatore è stato molto divertente. Ma la storia va oltre battute e risate: racconta di un gruppo di ragazzi che hanno rivoluzionato il concetto di arrampicata e che hanno portato in Italia un piccolo pezzo di America, precisamente in Val di Mello. L’hanno fatto anche loro, ma completamente a loro modo.
Ascoltare Jacopo Merizzi (sassista, guida alpina, esploratore e fotografo) mi ha aperto una finestra sulla Valle Monumentale, incantata, su un’arrampicata che è manifestazione di una controtendenza, di libertà, di evasione dal mondo regolamentato verso l’universo anarchico, dove sorridi perché sei felice e non perché qualcuno ti chiede di farlo. Dove entri in una nuova dimensione. Dove precipitano gli asteroidi. Dove desideri immergerti in un oceano irrazionale.
Una volta ho bivaccato in vetta al Precipizio dopo aver aperto la via Bodenshaff con Federico Madonna: è un posto fantastico. Devi pensare a una contropendenza che crea una specie di avvallamento, con un po’ di larici bruciati dai fulmini, mirtilli e muschio alto sembra la prua di una nave… un posto meraviglioso dove passare la notte: sei proprio in mezzo alle stelle.
È da lì che nascono le feste della ‘minoranza arrampicatrice’?
Be’, proprio lì, insieme, abbiamo fantasticato su cosa avremmo potuto fare e mi sono detto “caspita, in un posto così bello ci starebbe benissimo una grande festa, dove invitare tutti gli arrampicatori”. È nata lì l’idea: ovviamente doveva essere una festa fuori dall’ordinario, sorprendente e impossibile, quindi l’abbiamo pensata a base di pesce e champagne!

Mi sembra perfetto.
E poi, dopo la prima edizione, che è stata fantastica, improvvisata, dove abbiamo portato anche le ostriche, la seconda l’abbiamo pensata ancora più folle. Eravamo una cinquantina.
Queste feste sono diventate una tradizione…
Era diventata una biennale. La seconda l’abbiamo organizzata solo per donne o meglio, per donne o presunte tali! Quindi tutti i maschietti dovevano essere vestiti da donna, con minigonne da urlo e parrucche: ti pensi salire le fessure di Oceano Irrazionale in minigonna?
A proposito, stavi benissimo biondo!
Oh, grazie. Lo so, lo so, mi donava molto (ride, ndr).
Abbiamo organizzato quattro edizioni.

Quanto era importante l’amicizia tra voi arrampicatori in quel periodo?
Eravamo un gruppuscolo di post-adolescenti, tormentati dalla voglia di vivere. Sempre perdutamente innamorati: grandi amori, grandi progetti di scalate e di conquiste femminili. L’amicizia, sì, è stata sempre fondamentale, anche perché l’arrampicata è molto elitaria. All’epoca eravamo davvero in pochi: infatti la festa era dedicata a una minoranza arrampicatrice.
E poi il bello di quelle occasioni, le cene, è che erano completamente libere, aperte a tutti: ognuno poteva arrivare da dove voleva, salire dalla via più difficile o dalla Val Livincina, non importava. “Facciamo la grande festa sul Precipizio: chi vuole venire, ci si trova su!”.
È sempre andata così, in maniera assolutamente anarchica, nessuno sponsor. Lo sponsor eravamo noi.
Ma quindi l’obiettivo era solo divertirsi?
Sì, solo divertirsi. Una grande festa, nostra. Fuori da qualsiasi principio. All’inizio abbiamo detto che non si poteva fotografare o fare video. Infatti delle prime due edizioni non ci sono foto.
Senti, Jacopo, qual è la filosofia della Val di Mello?
Direi che la filosofia principale, almeno per noi sassisti, è l’idea di passare senza lasciare traccia, ‘passare in punta di piedi’.

È un’idea molto attuale, perché i luoghi selvaggi intonsi sono sempre meno. Quindi trovare un posto senza tracce di passaggio, senza chiodatura, senza bolli che ti segnano un percorso o senza il luccichio di spit, è un valore aggiunto importantissimo, che va assolutamente salvaguardato, soprattutto per le nuove generazioni.
Tu vai in Val di Mello e quando sali le vie, devi prendere i friend, assicurarti, predisporre anche le soste, perché non tutte ci sono…
Ogni via diventa la tua via, la tua salita. È quasi come essere in apertura.
Lasciare le vie come l’apritore le ha trovate…
Sì, poi è chiaro che qualche segno di passaggio lo trovi, da lì non si scappa. Però hai l’idea di passare in punta di piedi, per rispetto delle generazioni future.
Questo comunque non vuol dire non chiodare. Magari io pianto un certo numero di chiodi e poi il mio secondo li toglie, e successivamente passa una cordata che non mette nulla, perché sono bravissimi.
L’arrampicata è qualcosa di molto personale, che tu interpreti come vuoi.
Ti racconto un aneddoto: quando Ivan Guerini ha aperto la via Il risveglio di Kundalini, nella relazione scrive che ci ha impiegato due giorni. Tu considera che una cordata un po’ scaltra impiega un’ora e mezza circa a ripeterla.
Guerini racconta: “mi piaceva così tanto arrampicare e trovare la linea, che mi sono fermato a bivaccare”. È un concetto bellissimo, sorprendente. Lui si ferma perché si trova così bene in parete tanto da dire “non voglio bruciarmela tutta in un giorno: mi fermo e proseguo il giorno dopo”.
A mio parere è un concetto visionario. Mentre all’epoca si faceva a gara per essere i più veloci.
Mi hai anticipato una domanda, perché volevo chiederti se anche il rispetto della zona era per voi un tema centrale.
Rispettare questo ambiente voleva dire rispettare anche noi stessi.
È vero, eravamo un gruppuscolo di scanzonati arrampicatori, molto giovani, ma dopo l’esplorazione e la scoperta, ci siamo resi conto che il passaggio successivo era anche quello di tutelare questa Valle.
E da lì è nata una battaglia che è durata 30 anni, finché siamo riusciti a far riconoscere questa area come riserva naturale, la più grande della Lombardia.
Ma è stata una battaglia lunga, difficile: abbiamo fatto manifestazioni e casini, raccolto firme, consumato le gomme delle macchine per andare a Milano, in Regione… è stata una battaglia soffertissima, dura, però alla fine l’abbiamo vinta: tutti hanno riconosciuto che questa valle è speciale.
Devi venire assolutamente!
Il termine corretto sarebbe ‘Valle Monumentale’.

E invece la tua filosofia qual è?
Ho sempre avuto la passione per l’esplorazione. Adesso, detta così, sembro un trombone, però è proprio l’aspetto magico dell’esplorare che ho sempre coltivato nella mia vita. Mi piace scoprire, vedere cosa c’è oltre, e quando apro una via voglio guardare cosa c’è sopra, sorprendermi mentre salgo. Su Amplesso Complesso abbiamo scoperto una scala di pietra, su Polimagò un traverso tracciato da una linea di quarzo, su Patabang una facile ascesa nello spazio.

Più avanti mi sono dedicato all’archeologia: ho fatto delle scoperte davvero importanti in Messico, in Sardegna, in Antartide, nell’Isola di Marettimo. Mi piace l’idea di mettere il naso dove gli altri non vedono.
Un’altra buona traccia (non facile) è la leggerezza. Sulla roccia e ancor di più nella vita: mai prendersi troppo sul serio, sia quando vinci sia quando perdi.
E ti piace anche l’idea di arrivare per primo?
Ma no. Forse. Boh. Sì, forse c’è anche un po’ di quello.
Ma immaginati adesso di entrare in una grotta, di quelle difficili (quelle facili sono già state esplorate), dove magari devi anche arrampicare o calarti con una doppia vertiginosa. Entri e ti rendi conto che è stata vissuta nell’antichità: vedi i vasi, le mummie, oggetti particolarissimi… è un’emozione enorme! Ti colpisce al cuore. L’archeologia è fantastica.

Non si tocca nulla, è la regola. Anche perché ti senti un intruso. Il passaggio successivo è avvisare la sovrintendenza: arrivano loro, gli archeologi, e non è più affar mio, ma il momento in cui entro e faccio una scoperta è una magia fantastica.
Ho ascoltato la tua intervista e visto il docufilm Patabang: voi vi definite ‘folli’. Anche se un po’ posso immaginarmelo, posso chiederti perché?
Sì, folli! Dunque, la prima definizione di sassisti ce l’ha data Luca Mozzati, un bravo intellettuale che, quando all’epoca ci aveva conosciuto, ci chiamava ‘i cretini della Val di Mello’, perché riteneva che rischiavamo troppo.

Ma ti faccio un discorso più generale. I piemontesi parlavano, scrivevano, erano gli intellettuali, perché una volta tutta l’editoria era a Torino, come la Rivista della montagna, Alp… tutto ruotava attorno a Torino.
C’era il Mucchio Selvaggio, c’erano Gian Piero Motti, Bonelli, Grassi, Gobetti, Massimo Demichela, un gruppo molto importante di arrampicatori, tra cui spiccava Mike Kosterlitz, abilissimo scalatore e grande cervello, che tra l’altro poi è Nobel per la fisica. Scrivevano moltissimo, parlavano tanto, ma arrampicavano un po’ meno. Quando noi siamo andati là a scalare, devo dire che eravamo più bravi. Quando invece andavamo in Dolomiti e ci confrontavamo con Heinz Mariacher, Mauro Corona, Manolo, a cui ho fatto un servizio fotografico per la Sector nel 1980, e altri, loro erano molto più bravi di noi, però non raccontavano: vigeva l’omertà.
Noi eravamo una via di mezzo, un’anomalia alpina orfana dell’alpinismo classico e difficilmente catalogabile, ma tutti molto giovani: pensa che quando abbiamo aperto la via Oceano irrazionale, io avevo appena compiuto 18 anni e i vecchi, i Pilly, i Bosca, Ivan, ne avevano 3, 6, 8 più di me.

Ma perché il vostro alpinismo, secondo te, è stato così diverso rispetto agli altri?
Sì, ti spiego. Per noi arrampicare rappresentava la totale evasione: evasione dalla scuola, evasione da tutto. E poi c’è da dire che eravamo dei rivoluzionari, anime ribelli, in contrapposizione a quelli del CAI, più conservatori (ti parlo ora del CAI della Valtellina dell’epoca), rigidi, con gli scarponi e i calzoni alla zuava… Noi ci siamo trovati subito in una situazione conflittuale.
Ricordo che hanno organizzato una specie di incontro pubblico a cui siamo stati invitati e al grido “voi non siete degli alpinisti, voi siete dei sassisti!”, siamo stati cacciati. E dal lato pratico per me è stata una fortuna incredibile, perché da quando avevamo 15 anni abbiamo iniziato a fare il nostro alpinismo, che non c’entrava nulla con quello classico, con la retorica della vetta e della conquista, con quello dell’istruttore che ti dice cosa fare e il materiale da portare.
No, noi eravamo dei ragazzi poco più che adolescenti e andavamo in giro come caspita ci pareva, orientandoci un po’ con le riviste americane che ogni tanto arrivavano, come Ascent: spiavamo gli americani, ma sai, all’epoca era difficile avere informazioni.
La grande rivoluzione è stata quella di buttar via lo scarpone e usare le scarpe. All’epoca non c’erano le scarpette: usavamo le scarpe da ginnastica con la suola in poliuretano espanso.

Nella tua intervista hai parlato anche di una suola che durava poco, ma che era particolare, adatta al tipo di roccia che scalavate. Me ne parli?
Sì, ti racconto. Guerini era un po’ più evoluto rispetto a noi e a un certo punto ha scoperto una suola nettamente più buona di tutte le altre, l’aerlite: una gomma cotta, che ha perso completamente l’elasticità e ha una densità catramosa, che appiccica moltissimo, ma che si consuma con una velocità ipersonica. Tiene sul bagnato da Dio, per esempio: non ho più visto una suola che tenga così bene sul bagnato come quella scoperta da Guerini dal calzolaio. Pensa, era la suola che usavano per risuolare gli zoccoli.
Dunque, c’era Guerini che aveva questa suola fantastica e noi, maledizione, avevamo sempre delle scarpe tremende, pessime per quelle pareti. Finché riusciamo a carpire il segreto, perché gli portiamo via un paio di scarpette, e riusciamo a capire qual era questa maledetta suola che usava. Poi si è diffusa la voce. È vero che durava una settimana, ma eravamo anche molto abili a risuolare!
Le prime scarpe d’arrampicata sono state le Super Gratton EB, prodotte a Londra, che però avevano una gomma terribile, e anche altre, con suole che non si consumavano mai, ma che non tenevano niente, una roba drammatica. Così le risuolavamo con la gomma di cui ti parlavo prima.
Ti racconto una cosa divertente: c’era un mio amico, Agostino da Polenza, che stava per andare in Yosemite, e allora gli chiedo “ti prego, comprami un paio di scarpette a suola liscia”. Lui torna con queste scarpe dentro un pacco. Io orgogliosissimo lo apro: erano scarpette della Montelliana prodotte ad Asolo! Allora scrivo un articolone parlando di queste scarpe formidabili, perché erano finalmente a suola liscia. Il direttore della Montelliana, questa ditta piccolina di Asolo, mi telefona e mi dice “ma no, Merizzi, lei non ha capito niente! Queste scarpe sono pericolosissime sulle Alpi. Vanno bene solo in Yosemite perché là c’è una roccia speciale! Sulle Alpi vanno usati gli scarponi. Le pedule sono pericolosissime!”.
Ecco, ti ho dato un’idea di come era arretrato il mondo rispetto a oggi.

E la vostra è una roccia speciale, perché molto simile a quella dello Yosemite, giusto?
Sì, perché non è granito, ma è una granodiorite, esattamente come in Yosemite. Conosci la differenza con il granito?
Sinceramente no.
C’è poco quarzo. Il quarzo è duro, vetroso, liscio. Da noi la roccia è più ruvida, con i cristalli di feldspato.
Infatti è differente da quella della Valle dell’Orco che invece è granito, corretto?
Sì. Più scivoloso ma con magnifiche fessure.
Senti, tu mi hai raccontato parecchi aspetti che mi richiamano il Nuovo Mattino. Oltre all’essere più ‘intellettuali’ di voi, quali sono le altre differenze?
Ho avuto la fortuna di arrampicare con Gian Piero Motti, Bonelli, Grassi, oltre che con altri del Nuovo Mattino. Loro erano più grandi, subivano e soffrivano ancora la retorica del vecchio alpinismo.
Ne parlavo qualche giorno fa con Enrico Camanni: a mio parere avrebbero dovuto raccontare più aneddoti divertenti, che hanno, ma che tengono segreti.
Diciamo che voi siete un po’ più dissacratori.
Forse…
Però loro erano anche molto più cattivi!
Sono molto amico di Gobetti, che è uno scrittore davvero geniale, è un piacere stargli vicino, perché anche lui è un folle, anzi molto più folle di noi. Pensa che Bonelli un giorno ha spaccato una bottiglia e l’ha tirata a Gobetti, tagliandogli tutti i tendini della mano che ha alzato per pararsi.
E per quale motivo?
Per una fanciulla! L’unico buon motivo per farlo.
Ah, ok.
Sì. E poi è divertentissimo, perché Gobetti, da questo trauma che gli ha tranciato tutti i tendini della mano, aveva difficoltà ad alzare le dita centrali e lui racconta: “devo ringraziare Bonelli, chi mi ha stuprato la mano, perché così ho evitato il militare… Perché il mio saluto al colonnello, alzando la mano destra sul berretto, era il segno delle corna. E per questo sono stato esonerato”.
Non male!
Ora spostiamoci di nuovo in Val di Mello: nel video ‘invito a cena per sole ragazze’ ti ho visto abbattere uno spit. Che valore aveva quel gesto?
Sì, l’ho fatto a pietrate, perché noi arrampicavamo sempre senza martello e ho chiesto a degli amici sotto che mi portassero su un sasso con cui ho schiacciato lo spit. Ricordo anche di aver avuto il pesce spada con la punta che usciva dallo zaino: è stata divertente quella ripresa.
È successo che un infame olandese aveva piantato questo spit su una via aperta senza spit, Oceano Irrazionale: lì c’è un traverso molto simpatico, esposto, e tra l’altro è ben protetto. È stato proprio un atto di sfregio su una super classica, una delle vie più belle della Val di Mello.
Togliere quello spit non è stato un atto dissacratorio, ma qualcosa di corretto.
Ora passiamo alla ‘vera storia’ dell’apertura e della ripetizione di Oceano irrazionale al Precipizio degli Asteroidi, ti va?
Certo. Ti dico come l’ho vissuta io, ovviamente.
Tutti invidiavamo Guerini perché era bello e girava sempre con delle fanciulle molto carine. E devo dire che per quanto fossimo rivoluzionari, non eravamo tanto visionari quanto lui.
Io mi ero messo in testa di scalare il Pesgunfi, una parete in Val Masino, tutta strapiombante, davvero difficile, in arrampicata artificiale.
Ah, qui ti apro una parentesi: per noi l’arrampicata libera non è mai esistita, non ce n’è mai fregato un cavolo, mentre, per esempio, in Valle dell’Orco era importantissima l’evoluzione, l’arrampicata libera. Per noi il concetto era passare.

Ma torniamo alla nostra storia.
In quella parete in Val Masino ci ho passato un sacco di tempo, anche con bivacchi. Con i miei compagni d’arrampicata ci trascorrevamo le vacanze di Pasqua, appesi con le amache a tentare di salire. E di fronte intravedevamo il Precipizio degli asteroidi, che era prerogativa di Guerini. Diceva che l’avrebbe salito lui. Ma il primo anno non lo fa, il secondo anno non lo fa, e io ero sempre lì a tentare quel maledetto Pesgunfi, senza riuscire a salire.
Guerini non lo saliva perché diceva che aveva tutto il tempo per farlo, con tranquillità, inserendolo tra quelle due o tre vie all’anno. Lui sapeva che la Val di Mello era sua e voleva salire il Precipizio mettendoci con calma tutta la passione che meritava. Noi da Sondrio, invece, scalpitavamo, eravamo quelli del “porta a casa la preda”.
A un certo punto mi sono detto “dai, andiamo a farlo noi!”. L’ho proposto ad Antonio Boscacci, che era più grande di me (io 18 anni e lui 27).
Noi però avevamo una visione particolare del Precipizio: lo vedevamo un tutt’uno, compresa la parte bassa, che adesso si chiama Altare.
In silenzio dunque siamo arrivati all’attacco, dove abbiamo bivaccato. Abbiamo salito l’Altare, che è impegnativo (Via Il Cerchio di Gesso), e mentre lo facevamo, Guerini ci ha scoperto. Lui aveva la baita sotto: ha guardato su e ci ha visto sulla parete bassa.
Si è allora precipitato per superarci attraverso un sentiero a noi sconosciuto, quello della Val Livincina.
Quando siamo sbucati sulla cengia, ci siamo trovati Guerini e Mario Villa che dormivano nei secchi-piuma sotto la parete, dentro una specie di grotta.
Devo dire che i nostri rapporti da lì non sono stati molto buoni: avevo infranto l’accordo, io non avrei dovuto salire quella parete prima di lui.
Con due tiri già attrezzati, la mattina loro sono partiti prestissimo, risalendo le corde fisse. Io e Antonio eravamo dietro e alla fine li abbiamo raggiunti sotto il tetto, quello che oggi è il tiro della Tromba.
In sosta ho visto Guerini come ha salito quel tiro: lui in fessura era un arrampicatore eccezionale, ma era un pessimo chiodatore. Il famoso tiro della Tromba l’ha salito per 20 metri senza proteggersi.

Aspetta, ti descrivo brevemente il tiro: c’è una fessura all’inizio abbastanza facile, che poi diventa fuori misura, off width, improteggibile, dove riesci a inserire la spalla, poi c’è uno strapiombo che ti porta alla base del tetto. Quel passaggio è difficilissimo e non so davvero come abbia fatto a superarlo a 10-15 metri dalla sosta senza protezioni. È uscito sotto il tetto e poi da lì inizia una fessura larga 20 centimetri in diagonale. Ha superato anche quella, che non è facile. È salito senza protezioni per altri 5-6 metri e poi ha messo due eccentric, un 11 e un 10 contrapposti, perché la fessura era troppo larga.

Sarebbe stato impossibile tenere un volo con quelle protezioni!
Esatto, ma lui ci ha attaccato una staffa, dove ha messo il piede, e ha tenuto. Quella roba lì la togli col dito, non tiene niente. Era disperato.
Aspetta, ho trovato la sua vecchia guida, guardo la relazione. Te la leggo: VII grado il tiro della Tromba, lo strapiombino della fessura che ti porta al tetto. A4 artificiale estremo il secondo tratto in fessura, che lui aveva chiodato usando dei rurp, i chiodini microscopici, con delle fettuccine intorno a spuntoni e altri stratagemmi terrificanti! Però è riuscito a passare infilandosi dentro, quando la fessura si allarga, e lì ha attrezzato la sosta.

E poi è toccato a voi.
Il tiro sotto l’aveva salito Antonio Boscacci e quindi toccava a me: avevo una paura terrificante, dopo che ho visto Guerini, quello che ha fatto. Sono rimasto agghiacciato.
Tu come l’hai salito?
Io piantavo chiodi da quando facevo la terza media, qui sulle pareti intorno a Sondrio. Sono salito su quello strapiombino e ho piantato un chiodo buonissimo all’altezza del naso. Se tu vai a ripetere la via, lo troverai. L’ho piantato appena di fianco alla fessura off width: è un chiodo, dove tutti si assicurano e molti si attaccano anche di peso, perché è davvero un passaggio difficile.
So che Guerini ha inviato a Gian Piero Motti l’articolo per pubblicarlo nella Rivista della Montagna. È la prima volta che viene identificato un settimo grado in una relazione?
Non è vero.
Perché la prima relazione con un settimo grado è della via Nuova dimensione, aperta da me e Antonio Boscacci, in aderenza. Quello è il primo settimo grado. Ma aspetta, va fatta una premessa.
Il settimo grado puoi immaginarti quanti l’avevano fatto prima di noi. Pensa a Messner o Cozzolino, è solo che nessuno lo diceva. E poi c’era la compressione della scala.
Sì, perché la scala è stata aperta nel ’78. Eravate al varco.
Esattamente. Diciamo che siamo stati noi ad aprire la scala, non i primi a fare il settimo grado.
Nella guida che hai scritto con Paolo Masa si legge:
‘solo due anni dopo Ivan decise di realizzare il suo sogno e il 2 luglio del 1977 in compagnia di Mario Villa tracciò una via meravigliosa chiamata “Oceano irrazionale”. Il settimo grado era appena nato in Val di Mello e di conseguenza in Italia su “Nuova dimensione”, una via in aderenza salita per la prima volta da Antonio Boscacci e Jacopo Merizzi e subito trovava in quest’altra via una conferma nell’arrampicata in fessura. La retorica delle belle favole suggerirebbe di tacere i penosi risvolti di questa prima salita, ma il gusto del pettegolezzo supera in questo momento la nostra volontà’.
Mi spiegheresti queste parole?
Ci piaceva un casino inserire le narrazioni nelle guide.
Dunque, nel tiro della Tromba che ti ho raccontato, quello che Guerini ha salito senza protezioni, io ci ho piantato due chiodi, quindi l’ho salito un po’ protetto. Il grado che ha indicato lui, dunque, io l’ho subito ridimensionato.
Però il grado che aveva indicato lui ci stava.
Certo, sprotetto così, ci stava alla grandissima!
Il tiro dopo è ancora difficile, ma breve. E poi, anche quando si esce sul Pulpito dell’eremita, i tiri sono più semplici.
Apro una parentesi: i nomi che ha dato Guerini alle zone e alle conformazioni della roccia sono proprio belli. Pulpito dell’eremita è bellissimo: lì ci sono due grandi abeti, uno rosso e uno bianco. E da quel pulpito le nostre due cordate si sono separate.
Guerini è salito dritto per una specie di fessura, invece noi abbiamo individuato una linea sulla destra, bellissima. Sono 70 metri di tiro di IV+, V massimo, su una fessura in dülfer e poi su una placca meravigliosa. Adesso fan tutti quella variante.
Come finisce la storia?
Finisce che Guerini scrisse la relazione e lo stesso facemmo noi. All’epoca c’era Lo scarpone, un quindicinale, dove è uscita la nostra relazione con indicato il VI+, nel tratto in cui Guerini aveva scritto VII.
Ho relazionato la via come se fossimo una cordata di quattro, un tutt’uno, sia sulla parte bassa dell’Altare sia sul Precipizio.
E scommetto che Guerini se l’è un po’ presa…
Guerini se l’è presa come una bestia: era incazzato come una iena e secondo me aveva ragione, perché innanzitutto è vero che era VII grado e non VI!
E poi lui ha detto “eh no, i primi salitori siamo stati io e Mario Villa, voi siete stati solo i primi ripetitori!”.
Aveva ragione.
Quindi il lungo silenzio che c’è stato tra di voi… è un po’ colpa vostra, lo ammetti?
Ma sì.
E ti dirò che Ivan in queste cose era un visionario molto eclettico.
Guarda solo i nomi che ha inventato, sono bellissimi: Scoglio delle Metamorfosi, Oceano irrazionale, Pulpito dell’eremita, Precipizio degli asteroidi…Sai perché si chiama Oceano irrazionale? Perché la roccia appare come delle grandi onde di granito sul Precipizio.
Guerini aveva veramente una fantastica capacità immaginativa.
Perdonami se mi sbaglio, ma la vostra via Nuova dimensione non ha avuto quella risonanza che ha avuto Oceano irrazionale, nonostante sia il primo VII grado dichiarato. Come mai?
È semplicissimo: perché Oceano irrazionale è Oceano irrazionale. Entri nella Valle e dici ‘wow’ appena vedi la via su quel paretone incredibile, enorme, stupendo.
La via Nuova dimensione è una piccola chicca, tre tiri di corda. È una bella linea, ma poco ripetuta perché molto temuta: il passaggio difficile non è proteggibile.

Oceano irrazionale è espostissima e poi è un vione: sono quindici tiri di corda.
Avrei molte, molte altre domande, ma magari le tengo per un’altra volta. Per concludere vorrei chiederti perché ‘La vita negli occhi’.
Forse è perché io parlo molto con gli occhi. E la mia vita corre negli occhi.


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