1 agosto 2020, via Superbaffelan.
Percepisci i passi, l’avanzare, a ogni movimento della corda che struscia sulla roccia. Prosegue, su binari immaginari, scorre come sul letto il fiume. A volte scende, come una cascata. E poi tira e sale. Mi avverte che devo lasciarla andare.
Guardi in alto il tuo compagno di cordata, non troppo altrimenti il collo inizia a scricchiolare, e lo osservi, mentre avanza a piccoli passi verso il cielo.
Porto verso l’alto la corda, la faccio scorrere nel secchiello, poi la blocco, verso il basso, sinistra e destra. Nel frattempo penso a quando dovrò iniziare io la scalata.
Ci aspettano diversi tiri: la via è lunga 270 metri. La Superbaffelan è tra le vie più belle del posto e io non vedo l’ora di scoprirla.
Il sole scotta, la parete lo riflette, le sfumature grigie contrastano con un azzurro splendente: solo le nostre mani oggi sono sporche di bianco. Gli uccelli appoggiati su rocce sporgenti ci guardano dall’alto, ma a breve non sarà più così: saremo noi a osservarli volare sotto i nostri piedi.
Il mio compagno è arrivato in sosta, la prepara e al suo urlo “quando vuoi”, parto.
Stacco il nodo barcaiolo dal moschettone, tolgo la sosta e il primo rinvio. Sono pronta per partire: “vado, recupera!”.
Immergo le mani nel magnesio e parto per la conquista di un’altra cima.
[Ti avverto: potrai trovare questo articolo noioso e in alcuni tratti ripetitivo. Se dovesse succedere, scorri. Altrimenti sfidati, e prova a immaginarti lì con me.]

1° tiro.
Mi muovo verso destra, seguo il fix. Mi alzo di qualche metro, tolgo il rinvio e proseguo verso destra. Appoggio i piedi e salgo, pinzo con la mano destra, alzo il piede sinistro, tacca, allargo le braccia per fare pressione nel piccolo diedro che sto attraversando e riuscire così a sostenermi. Salgo.
È il primo tiro e i gradi vanno dal quinto al sesto.
Giro la mano destra e arrivo alla piccola tacca in alto per salire e posizionare il piede sinistro in un appoggio migliore.
Pinzo con la sinistra, salgo con il piede destro e a seguire l’altro. Piccola cengia, svaso buono per la sinistra, mi posiziono e tolgo il rinvio. Faccio saltare la corda, mi posiziono meglio con il piede sinistro, trovo una buona tacca per la mano destra e salgo con i piedi. Proseguo con il piede sinistro in aderenza sulla parete. Guardo in alto e vedo una roccia che sporge sopra di me: devo superare questa pancia. Salgo con il piede sinistro, nel frattempo le mani sono appigliate su tacche buone. Il piede destro mi permette di ruotare il ginocchio, lolotte per arrivare a una presa più buona con la mano destra. Salgo, ruoto il ginocchio sinistro verso l’esterno per spingermi ancora in alto e avanzare anche con il destro. Mi posiziono al meglio con i piedi per tentare un minimo riposo. Mi sposto a destra, avvicino i piedi e cerco un appiglio per la mano destra. Tridito abbastanza buono. Salgo con i piedi e tolgo il rinvio. Avanzo con il piede destro mettendo alla prova il mio equilibrio.
Trovo un piccolo traverso a destra. Riesco a pinzare con la sinistra e salgo con i piedi, tacca buona per la mano destra. Cerco di stare a sinistra perché la roccia mi sembra migliore. Salgo con i piedi. Piccola tacca per la destra, salgo con il piede sinistro e trovo una buonissima presa per la mano sinistra. Salgo con i piedi in tranquillità e trovo buone prese per le mani. Alzo il piede destro e arrivo quasi all’altezza del bacino, ma mi serve solo per tenermi in equilibrio e prendermi una breve pausa.
Torno con i piedi alla stessa altezza e salgo. Accoppio le mani in una buona presa, stacco il rinvio.
Tacca buona per la destra e cerco di al meglio la sinistra e allontano i piedi in una spaccata verso destra. Mi assicuro la mano sinistra e cerco di salire con la mano destra appoggiata a uno svaso. Cerco di avvicinare i piedi perché con il destro sono troppo esposta. Riesco a salire tra tacche e pinze per le mani. Alzo i piedi, trattengo la mano su una presa sinistra e stacco il rinvio con la destra.
Vedo la sosta vicina.
Alzo il piede destro. Con la mano destra prendo un verticale e salgo ancora con i piedi. Ancora un piccolo verticale a cui riesco ad agganciarmi con un dito, rovescio tridito per la sinistra, alzo il piede destro fidandomi del sinistro, che poi alzo con cautela.
Salgo.
Cerco di posizionare la mano destra e afferrare con la sinistra una buona tacca. Sono quasi alla sosta ma non riesco a trovare appoggi per i piedi e arrivare dal mio compagno che mi attende.
Vedo delle lame da afferrare con la sinistra e provo ad alzare i piedi.
Dopo qualche dubbio, un verticale e un rovescio, una piccola spaccata e qualche appoggio, mi sposto con il corpo a sinistra, afferro svasi e verticali, infilo le dita su una fessura e proseguo, non senza esitazioni.
Ultimi due metri. Afferro una lama, salgo con i piedi e arrivo in sosta.
2° tiro.
Questo è un tiro di quinto con un passaggio di sesto. Appare semplice, ma mai sottovalutare la montagna.
Parto.
Afferro un verticale di destro e una piccola tacca di sinistro, alzo i piedi e arrivo a un’ottima cengia con la mano destra. Qui salgo con i piedi tranquillamente sulla roccia che mi fa da scala.
Continuo e le mani sono buone: piccole maniglie e tacche. La roccia tiene.
Mi sposto verso destra trattenendomi con tre dita in un piccolo buco.
Mi sposto a sinistra su un’ottima cengia in discesa e mi alzo su piccole maniglie. Alzo il piede destro e avvicino il sinistro. Mi tengo su una cengia con la mano destra e stacco il rinvio.
Procedo verso sinistra, incrocio i piedi, sposto le mani su una serie di tacche e mi alzo.
I piedi avanzano su due cenge e le mani su piccole tacche. Salgo e appoggio il piede destro su una buona cengia, mi tengo su una tacca con la sinistra e tolgo il rinvio.
Proseguo verso sinistra e mi sposto con i piedi in spaccata, trovo una maniglia per la mano destra e proseguo.
Tacca con la mano sinistra, mi sposto con i piedi e ancora trovo buone tacche per le mani.
Mi trattengo con la sinistra su una minuscola tacca e riesco ad alzarmi e trovare una buona presa per la destra.
Salgo su piccoli appoggi con i piedi e con le mani afferro tacche e piccole maniglie a cui per arrivarci devo girarmi prima verso destra e poi a sinistra.
Tolgo il rinvio con la mano sinistra dopo aver afferrato una buona presa con la destra.
Arrivo al diedro che dovrebbe avere il passo più duro del tiro. Salgo con una spallata di sinistro fino ad afferrare con la mano destra una tacca, alzo i piedi. Mi sposto a destra per arrivare a una buona cengia. Stacco il rinvio a destra e salgo a sinistra. Arrivo con la mano destra a una buona tacca, con la sinistra in in una più piccola. Salgo con i piedi per arrivare a una cengia per le mani: la raggiungo prima con la destra con i piedi in spaccata. Raggiungo sopra altre tacche con le mani, a cui mi aggrappo per salire con i piedi, prima in aderenza e poi sulla cengia dove prima avevano riposato le mani.
Mi alzo e arrivo a una piccola fessura sul diedro. La sorpasso e mi sposto a destra. Mi posiziono al meglio per staccare l’ennesimo rinvio.
Mi alzo su tacche e maniglie per le mani, su piccoli appoggi e cenge per i piedi. Mi sposto a destra, accoppio le mani, spallata di sinistra e raggiungo con la destra una buona tacca. Accoppio di nuovo le mani su una cengia e proseguo. Arrivo con la destra a una tacca, ma mi scivola: riesco a trattenermi e continuo la scalata. Stacco il rinvio dopo aver raggiunto prese buone per la mani.
Giro il ginocchio verso sinistra e salgo con il piede destro. Alzo il sinistro.
Arrivo a una maniglia per la mano destra e a una cengia con la sinistra.
Appoggio il piede sinistro all’altezza del bacino e mi alzo. Afferro un verticale con la mano sinistra, alzo i piedi e a destra mi aspetta una buona cengia dove c’è la sosta.

3°tiro.
Per il primo passaggio ho alzato il destro e ho cercato di prendermi a un verticale con entrambe le mani. Non è stata un’ottima scelta, però. A destra il passaggio è abbastanza esposto e devo fare attenzione. Per le mani c’è poco… Cerco di spostarmi più che posso ancora più a destra, cercando un appiglio. Carico sul destro e salgo. Mi sposto ancora a destra, dove trovo una tacca per la mano, i piedi sono appoggiati e posso lasciare la mano sinistra, così riesco a riposare.
Alzo i piedi sulla cengia, trovo un buon verticale e ne approfitto, con la sinistra mi affido a una fessura, un altro verticale per la destra e carico i piedi in spaccata.
Una serie di tacche buone mi permettono di salire con mani e piedi fino a staccare il rinvio. Vedo un bel buco per la mano destra: accoppio i piedi e mi sposto fino a raggiungerlo. Cerco un appoggio per il piede destro e provo in spaccata a cercare le prese per le mani, senza abbandonare con i piedi il buon posto.
Provo una presa, ma non è buona. Osservo la fessura sopra la mia testa, devo raggiungerla. Mi sposto verso sinistra, afferro un rovescio, raggiungo la fessura e mi appoggio con i piedi su una cengia. Tolgo il rinvio, mi tengo in equilibrio e mi alzo nuovamente per continuare la scalata. Alterno destra e sinistra, spallata di destra e accoppio le mani, mi porto con il peso a destra perché lì ho un appoggio buono. Riposo.
Pinza con la mano destra, bidito per la sinistra, alzo i piedi e arrivo ad altri due buoni appigli per le mani. Salgo con il piede destro cercando l’equilibrio, un’altra spallata e recupero l’ennesimo rinvio. Verticale per la sinistra, mi alzo con i piedi trovando due piccoli appoggi. Mi guardo a destra e sinistra per capire dove andare. Sento sgretolarsi la roccia tra le mani, non è una parte buona della parete, ma non è niente di grave, anzi è quasi normale qui. Proseguo.
Alzo il piede sinistro e salgo sempre su piccoli appoggi. Recupero qualche secondo su prese migliori e raggiungo il rinvio.
Cambio piede su un altro piccolo appoggio, appiglio per la mano sinistra e tacca per la destra. Alzo i piedi e con la mano destra tango la presa buona.
Salgo e mi trovo per le mani delle lame che riesco a tenere per riposarmi.
Anche i piedi sono buoni e per questo riesco a scaricare bene il peso, salendo più di piedi che di mani.
Mi trovo un tratto di parete verticale appoggiata. Appare semplice, ma seguo la via sbagliata, dove mi pareva più semplice. Non importa, mi sposto e continuo a salire: sono quasi arrivata alla sosta.
Lame, tacche, svasi, carico il piede destro e raggiungo il mio amico.
4°tiro.
Consapevole che in questo tiro mi troverò il passaggio di settimo, sono pronta per partire.
Inizio verso destra. Bidito per la sinistra e salgo con i piedi. Cengia per il piede sinistro e proseguo agilmente su appoggi buoni, ma il mio amico dalla sosta mi urla che la roccia è “da buona a ottima”, il che significa che potrebbe restarmi in mano più di qualcosa, quindi faccio attenzione e arrampico con cautela.
Alzo i piedi, afferro prese buone per le mani e per il momento appare tutto molto buono, tranne quando raggiungo un tratto dove tutto si sgretola. Urlo “sasso” due volte.
Raggiungo il mugo, lo sorpasso e faccio attenzione a non gettare ancora detriti a valle.
Recupero cordino e rinvio, proseguo verso destra, accoppio i piedi, pinzata con la destra, raggiungo la cengia.
Devo andare ancora verso destra, perché a sinistra non c’è niente di buono.
Lascio penzolare il piede sinistro per riposare qualche secondo su buoni appigli e proseguo.
A ogni passo, tra ricerca di equilibrio e cambi di piedi, guardo sopra il mio naso per scoprire cosa c’è poi e cosa posso afferrare.
Per il piede sinistro trovo un appoggio alto, quindi pinzo con la destra e lentamente mi alzo.
Devo arrivare a una buona presa con la sinistra: cerco di fidarmi e provo un brevissimo lancio per arrivare. Fatto, ma il fiato è sempre più corto.
Cambio mano, crepa verticale per la sinistra, stacco il rinvio con la destra e mi tengo in equilibrio.
Sulla destra c’è un bidito: mi alzo e lo raggiungo, ma in bilico su una roccia, così la testa mi va in panne. Devo fidarmi.
Avviso il mio compagno di cordata che dove mi trovo non è un punto semplice.
Cerco di pensare, di bilanciarmi e di ragionare sui movimenti. Trovo un appoggio che mi permette di riposare.
Arrivo al rinvio. Lo recupero.
Spallata con la sinistra. Rimetto il rinvio al chiodo perché potrebbe servirmi: non mi sento sicura. Infatti mi vedo costretta a tenere il rinvio per cercare appoggi.
Decido di recuperarlo, ma so che è un punto difficile. La testa ha ceduto e anche il fisico. Salgo, ma non è ancora finita.
Appoggi e prese ora sono buone, proseguo verso sinistra.
Tengo un rovescio con la mano destra, alzo i piedi e afferro con la sinistra una maniglia. Cerco ancora appoggi con i piedi e mi ritrovo a un leggero strapiombo.
Mi affido totalmente alla roccia, anche se non è buona: tacca, verticale e appoggio buono per i piedi su cui posso riposare. La sete aumenta.
Seguo la fessura buona sulla sinistra, salgo con i piedi, in parte in aderenza, e tengo la lama.
Mani su lame e tacche, tolgo il rinvio, cambio piede, spallata e salgo.
Il tiro è quasi finito, ma mi sembra infinito.
Mano destra su svaso, piede destro su buon appoggio, incrocio le gambe e sposto in alto il piede sinistro. Cerco prese per le mani, salgo con la sinistra, accoppio e proseguo, spaccata, tacca per la destra e salgo ancora con i piedi trattenendo la mano destra su una piccola tacca. Mi accorgo solo poi che avevo una presa migliore, ma ormai è fatta. Continuo la scalata.
Azzardo uno spostamento a destra, appoggio il piede, piccola tacca sulla sinistra e poi uno svaso.
Salgo con i piedi e raggiungo alcune buone prese. Recupero un altro rinvio e mi affido a dei verticali.
Arrivo in sosta e tolgo le scarpette. Anche questo tiro è fatto.

5° tiro, la caduta.
Ci stiamo avvicinando alla fine. Mancano solo due tiri all’uscita (anzi 4, però gli ultimi due nemmeno li conto) e tutto può ancora accadere.
Quando il mio amico ha recuperato la corda, sono pronta per partire.
Il tiro prevede anche una parte di settimo.
Salgo con i piedi e mi tengo con la mano sinistra a una lama. Cerco con la mano destra una presa sulla parete, ma non c’è molto: tengo quel che riesco e salgo con il piede destro, frontale.
Salgo ancora con i piedi, accoppio una presa con le mani e poi mi tengo solo con la sinistra: devo fidarmi dei piedi, c’è ben poco a cui sostenermi o aggrapparmi.
Ci sono solo tacche molto piccole, fino a una cengia, a cui arrivo con il piede sinistro. Qui stacco il rinvio.
Proseguo bilanciando il peso, fino ad arrivare a un punto da cui devo partire per un breve traverso a sinistra. Mi sposto con i piedi, prendo con la mano destra una tacca e inizio a spostarmi. Presa buona con la sinistra, mi tengo in equilibrio con la mano destra, ginocchio a sinistra e alzo il piede, tenendomi a due lame con le mani.
Appoggio i piedi su una cengia e ne approfitto per riposare: il tratto di settimo sta per arrivare.
Lascio la tacca per la mano destra e mi aggrappo a una buona presa con la sinistra.
Mi sposto leggermente a destra e arrivo a un’altra cengia su cui accoppio le mani e salgo con i piedi. Prendo una lama con la destra, avvicino i piedi e mi alzo. Prendo la lama verticale con la sinistra, ma ho il corpo spostato a destra, devo fare attenzione all’equilibrio. L’appoggio per il piede è a destra, ma è in alto: ci provo. Salgo un breve tratto in dulfer. Qualche botta più in su, mi sistemo con i piedi.
Afferro un rovescio con la mano destra, ma non ho nulla per la sinistra. Avvicino i piedi e cerco di riposarmi. Qui non trovo niente per alzarmi, quindi cerco un’alternativa. Mi sposto a destra, dove trovo qualcosa: tengo un rovescio con la sinistra e trovo il rinvio. Non so se lasciarlo per potermi tenere in caso di emergenza, oppure se tentare di staccarlo e proseguire con quel che trovo. Bel dilemma in questi casi!
Provo a sistemarmi.
Tengo una presa con la sinistra, ma sono in bilico con i piedi: so che potrei cadere e avverto il mio compagno in alto di fare attenzione.
Devo alzarmi con i piedi. Riesco a trovare una sistemazione, tolgo il rinvio.
Ma mi ritrovo ancora compromessa nella posizione. Cerco di salire con i piedi. Sento che non ce la faccio. Provo ad affidarmi a un verticale e salgo nuovamente in dulfer. Ok, superato il passaggio.
Salgo con i piedi. C’è una fessura a cui mi affido per le mani e su: sospiro di sollievo.
Trovo una piccola cengia, stacco il rinvio con la mano destra e proseguo.
Salgo ancora lentamente con i piedi, perché c’è ben poco. Prendo la lama con la destra e cerco di affidarmi a un buco con la sinistra, ma non è buono, quindi mi sposto su una tacca e salgo. Appoggio il piede destro e salgo.
Vari buchi per le mani mi conducono a un tetto, che fortunatamente la via non prevede: lo devo aggirare, anche se non è così semplice comunque.
Proseguo e avviso nuovamente il mio compagno di cordata che sono in difficoltà, ma riesco a superare anche questo tratto indenne, per ora.
Salgo, affido il peso al piede destro su un buon appoggio e tolgo il rinvio. Afferro una presa che spero tenga (la roccia non è ottima). Sono di fianco al tetto, un tratto dove trovo solo piccole tacche.
Mi devo riposare: sento le braccia stanche e devo recuperare le forze per finire il tiro.
Qualche secondo e riprendo la salita.
Pinza con la mano sinistra, rovescio con la destra e poi non trovo più nulla per le mani. Torno al punto di riposo.
Riprendo pinzando la presa stavolta con la destra, ma ancora la parete non mi offre molto a cui appigliarmi. Sento qualcosa, seguo i punti buoni che riesco a trovare: lama, mi trattengo e tolgo l’ennesimo rinvio. Salgo con i piedi per aiutarmi nel proseguire con le mani.
Trovo una cengia sopra il tetto su cui posso riposarmi.
Il respiro si fa sempre più affannoso.
Salgo, stacco un altro rinvio. Proseguo con alcune tacche abbastanza buone, ma su roccia tutt’altro che ottimale.
Mi sposto a sinistra su un’altra cengia.
Maniglia per la mano destra che poi accoppio, mi riposo qualche secondo e continuo la salita: sono quasi arrivata. Il tratto di settimo è passato.
Da qui però non so da che parte salire. Provo a destra: buco per la sinistra, cengia per la destra, salgo con i piedi e poi mi aspetta un breve traverso.
Salgo, ma con la mano sinistra afferro una pietra che non avrei dovuto scegliere.
Mi affido a lei, ma si stacca, facendomi allontanare dalla parete con un balzo. Passano due secondi e mi ritrovo a penzoloni con la testa in giù. Urlo “sasso”! E mi rimetto a testa alta, pronta per salire di nuovo, senza far passare troppo tempo per pensare.
Se mi sono spaventata? Sì, certo, è normale: siamo in via e in questi momenti cadere sarebbe tra le attività vietate, ma si sa, può capitare. Ho percorso qualche metro verso il basso, ma fortunatamente sono seconda di cordata. Poteva andare peggio.
“Tutto ok”, urlo al mio compagno. Peccato non averla conservata quella pietra: ora fa parte delle tante, che si sono staccate nel tempo, giù ai piedi della parete. Pazienza. Torno alla mia salita.
Riconosco di aver scelto la parte sbagliata lungo cui salire, quindi vado a sinistra.
Arrivo in sosta e tutto quello che riesco a dire è “bella roccia, eh!”.
Eppure quell’appiglio sembrava buono…

6° tiro.
Salgo con le mani su prese abbastanza buone. Ma questa volta aggiungo ancora più attenzione quando analizzo la roccia e le prese da afferrare.
Alzo la mano sinistra per poter allungarmi alla successiva, ma per il piede destro non c’è nulla, quindi torno al punto di prima e cerco altre opzioni.
Afferro uno svaso con la destra e riesco a salire, in parte in aderenza con i piedi, per poi riuscire a raggiungere appoggi e appigli abbastanza buoni.
Salgo con i piedi e per le mani utilizzo le piccole tacche che mi trovo davanti al naso o alte sopra di me.
Non ci sono molte prese, ma continuo a cercare. Pinzo un verticale con la destra, mi metto in equilibrio e stacco il rinvio.
Mi sposto a destra: ci sono con il piede ma non trovo la mano, quindi provo una spallata con la sinistra e riesco a raggiungere una tacca con la destra.
Salgo, incerta su alcuni passaggi. Prendo un verticale con la sinistra, avvicino i piedi e mi alzo, mi affido a una tacca sopra la mia fronte e cerco di alzarmi ancora con i piedi, ma perdo aderenza e avviso il mio compagno di cordata di fare attenzione. Stacco il rinvio all’altezza del bacino, ma faccio un movimento sbagliato, perdo l’equilibrio e decido di rimettere il rinvio per tenermi e riposare. Scopro una tacca poco sopra di me, mi affido a lei, stacco il rinvio e proseguo.
Avvicino i piedi, salgo tenendomi a un verticale, appoggio il piede destro e ci scarico tutto il peso per potermi posizionare bene e togliere un altro rinvio.
Questo tratto appare più semplice: su una cengia riesco a riposare le punte dei piedi e riparto. Le prese sembrano abbastanza buone, ma più proseguo e più mi rendo conto quanto importanti sono i piedi per non stancare troppo dita e braccia.
Anche qui devo scegliere tra due strade, prima ho sbagliato, ma ora spero di azzeccare: osservo le alternative e decido di andare a destra, verso un buon verticale che pinzo, per poi raggiungere una tacca con la sinistra per tenermi vicina alla parete e alzo i piedi.
Vado verso sinistra, ma la roccia non tiene. Quindi resto sulla destra. No, anche stavolta ho sbagliato: torno indietro. La mente mi ha abbandonato? Forse, sono molto stanca, ma certo non mi arrendo. Proseguo, stacco l’ennesimo rinvio, riposo il braccio destro e salgo.
Con una lolotte mi avvio verso sinistra.
Stacco il rinvio quando arrivo su una cengia, dove riposo un po’. Il dolore ad avambracci e piedi aumenta, ma non manca molto. Proseguo il viaggio con spallate, bilanciamenti, prove e fallimenti. Salgo e sempre di più il tiro sembra cedere. Riesco a guardarmi intorno, osservare il viola dei fiori, il verde della vegetazione che sta sotto di me, il bianco della roccia che crea linee lontane, l’azzurro di un cielo che mi appare come un ricordo lontano, tanto sono stata concentrata sulla morfologia della parete.

La roccia continua a non essere delle migliori, ma salgo abbastanza tranquilla, su buoni appoggi e interessanti tacche spaziose.
Arrivo alla sosta del sesto tiro.
Sopra di noi abbiamo ancora due tiri, ma sono semplici, di terzo grado e meno.
La via è conclusa. PG mi rimprovera ancora oggi, dopo un anno, di essersi dovuto portare appresso una compagna di cordata che si è fatta la cronaca in diretta di una via di 260 metri. Sì, avevo il fiato corto perché me la sono descritta tutta a voce mentre salito, rivolta al mio registratore nella tasca dello zaino.
Comunque ci mettiamo comodi sulla cima del Baffelan e ci gustiamo orgogliosi e soddisfatti il nostro panino.

È servito a qualcosa? Be’, a scrivere questo racconto dopo un anno sì. A ricordarmi la caduta e il mio ritrovarmi sottosopra? Certo!
Questa salita non resterà sicuramente nella storia dell’arrampicata, ma nella mia sì.
Grazie PG per la bella avventura!