Fausto Carollo racconta la sua via al Cengio

Ciao Fausto! Devi assolutamente parlarmi di questa nuova via al Cengio, Signor Kapriz, che hai aperto con Elena e Mario. Vai!

“Ciao Martina! Innanzitutto ringrazio anche te e Paolo per la partecipazione: mi ha fatto davvero piacere vedervi sbucare all’uscita della via.

Per quanto riguarda il progetto di Signor Kapriz, l’idea è nata un paio di anni fa, quando, passando sotto la parete, ho ammirato alcuni tratti di quella che poi sarebbe stata la via: ho notato una sequenza di diedri, che sono la mia passione, ed è stato amore a prima vista.

Un dubbio però c’era: mi sono chiesto “è ancora terreno vergine?”.

Qualche tempo dopo ho fatto un giro di ispezione e non ho visto chiodi. “Bene”, mi sono detto, “questo è il mio progetto”. Ho pensato che sarebbe stata una buona occasione per tentare l’apertura di una via.

Ho iniziato questa avventura da solo. Mi sono fatto costruire un’ottantina di chiodi da un’officina sulla base di un mio disegno: volevo dare a questo progetto un mio tocco personale.

Mentre ero in pieno lavoro, altri chiodi nuovi mi sono arrivati alla festa del papà, un regalo di mia moglie e mia figlia che ho apprezzato moltissimo. Anzi, ne approfitto per ringraziare le mie Chiara e Gaia per la loro pazienza (dall’inizio dell’anno ho fatto quasi 40 uscite nei fine settimana per questa via).

Dopo l’apertura di due tiri, in agosto di quest’anno si sono aggiunti alla chiodatura anche Elena Girardi e Mario Schiro, che sono stati fondamentali nell’aiutarmi a finire la via.

Signor Kapriz non è stata solo un’avventura alpinistica, ma anche una bella avventura di amicizia e collaborazione, fondate sulla fiducia reciproca, sul confronto e sull’insegnamento, perché conosciamo tutti l’esperienza che ha Mario nella chiodatura delle vie e questa è stata per me un gran supporto.

Per quanto riguarda il caprone, invece…

Be’, il nome della via inizialmente doveva ispirarsi ai caratteristici diedri della salita, ma un bel giorno di marzo, quando mi stavo preparando e attrezzando per calarmi da solo lungo la via e analizzare meglio l’uscita dei diedri, mi sono sentito osservato.
Mi volto e dalla boscaglia esce questa creatura dal pelo lungo che ha iniziato a fissarmi con curiosità: ebbene ci siamo guardati negli occhi. Io ero allibito nell’osservare questo caprone girovagare in parete.
Mi sono ugualmente calato, ma non più di una decina di metri, perché ho iniziato a chiedermi “e se arriva alla sosta che ho appena attrezzato e si mette a rosicchiare le corde?”.

Ho incontrato il caprone spesso quando andavo a sistemare la via e un giorno con Mario gli abbiamo portato del sale, del pane e delle verdure, soprattutto per l’inverno che si avvicina. Insomma, è nata un’altra amicizia tra noi. E questo caprone devo dire che oltre un’ispirazione è stato proprio lo spirito di questa via, una figura su cui ho concentrato l’apertura della salita.

Devo dire che ha proprio uno sguardo “peloso”, penetrante e simpatico: lui ti guarda, resta a debita distanza ma continua a osservarti.

Ah, ho un altro aneddoto: la prima volta che sono venuti a trovarmi Mario e Elena, i miei angeli custodi, stavo lavorando da solo alla via e sono stati tanto gentili da portarmi un panino e da bere. Le volte successive non sono mancate nemmeno le brioche. 

E un giorno Mario mi ha portato anche quattro spit, i primi che ho utilizzato per costruire le soste, e sono diventati per me e la via uno dei simboli.

Ricordo inoltre le notti in bianco: ne ho passate molte senza dormire per meditare sul lavoro svolto, su come far proseguire al meglio il cantiere e sempre impaziente in attesa dei sabati e delle domeniche successive per proseguire il lavoro. La motivazione è stata fortissima: non ho mai dubitato della via e della mia scelta, ogni giorno ero sempre più carico, sentivo il bisogno di tornare in parete a lavorare.

L’apertura di questa via è stata per me un’avventura meravigliosa insieme a due grandi amici. 

E un grazie lo devo anche agli amici che mi hanno prestato il materiale, come Sergio Caldieri, per il suo tassellatore con cui abbiamo protetto la via a fix, e altri due amici per le corde.”

Fausto, Elena e Mario

Grazie a te Fausto. Non occorre che sottolinei quanto ci tieni a questa via: te lo si legge negli occhi quando ne parli, l’abbiamo notato quando hai sorriso entusiasta scorrendo soddisfatto le ripetizioni in due giorni e quando ho ascoltato la tua commozione mentre ringrazi la tua famiglia.

Anche nelle tue parole ho percepito quanto la montagna riesca a unire, nonostante l’alpinismo sia spesso un mondo dove è l’individualismo a essere protagonista.

Sì, forse durante le nostre avventure siamo soli con noi stessi, mentre ci troviamo faccia a faccia con la parete o nei lunghi secondi in cui attrezziamo una sosta o fissiamo un chiodo. Ma soddisfazioni, sensazioni ed emozioni alla fine le condividiamo sempre volentieri, con le persone a cui vogliamo bene o che semplicemente possono comprendere cosa significa stare tra la terra e il cielo, e sentirsi bene.

Foto: Fausto, Mario e Elena

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