Una giornata nera su boulder

Oggi è una giornata nera.
Sono in palestra e non riesco a chiudere neanche un boulder. Certo ne ho provato di duri (rispetto al mio livello), ma la serata è iniziata con un sospiro, uno sguardo alle pareti e un “mah”.
Che ti puoi aspettare?

Stanchezza, malumore, bassa pressione… le giustificazioni possono arrivare anche a coinvolgere il clima politico o la salute dell’ambiente, ma diciamoci la verità: quando le dita non tengono, gli incroci non riescono e i movimenti sono sbilanciati, le parole servono a poco. Te la metti via.

È una giornata nera, ma succede.
È demoralizzante, è estenuante pensare a quanti top hai raggiunto pochi giorni prima paragonati ai zero di oggi.
Ma devo ammettere che qualcosa è cambiato dopo tre o quattro anni di arrampicata. Capisci che queste giornate, all’apparenza deludenti, possono capitare e che servono per riuscire a vedere quel filo sottile su cui siamo in bilico, tra un top e una soffice distesa di materassi.

Comprendi anche che non riuscire a risolvere un problema non è una sconfitta, ma una fase, una condizione passeggera utile al riposo, indispensabile per farci stare con i piedi per terra e insegnarci che non siamo invincibili, irriducibili eroi senza limiti, ma comuni mortali con umori, acciacchi, con una quotidianità fatta di alti e bassi.

Una giornata nera ogni tanto può capitare.
Innervosisce, certo, ma dell’arrampicata, come della vita, ci s’innamora sempre e comunque.

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