È una giornata soleggiata come tante altre, ma il calore presente nell’atmosfera appesantisce un’avvicinamento non breve.
Lo zaino si aggrappa alle spalle e si fa sentire con la sua corda e i suoi rinvii, le scarpe scivolano e inciampano sui ciottoli del sentiero, le gocce di sudore scendono mentre la temperatura sale, senza pietà né ripensamenti.
L’ombra degli alberi ci dà coraggio e noi continuiamo, attraversando prati e boschi tra alte pareti di roccia.
Siamo in Valle Santa Felicita a Romano d’Ezzelino, è un giugno caldo e non guarda in faccia a nessuno, ma noi siamo qui per raggiungere i tiri.
Arriviamo ai settori che ci interessano: subito noto uno spigolo e il suo nome è Sara.
Abbiamo un’intera mattina prima che il sole si affacci sulle pareti e decidiamo di arrampicare su alcuni tiri del Pilastro della Felicità.
Iniziamo con Pat (5c), Giò (6a) e tentiamo di raggiungere la catena della Variante di Aga (6b+).

Qui è tutto comodo: ci sono spazio per fare sicura, qualche tronco su cui sedersi per mangiarsi un panino e gustarsi una birra, alberi che proteggono dal sole e due serie di pareti attrezzate, una di fronte all’altra, da alternare mattina e pomeriggio. Quella dove abbiamo arrampicato noi è in ombra per la prima parte della giornata, quella di fronte, con tiri più difficili, si libera dal sole dopo mezzogiorno.

Qui abbiamo anche conosciuto Giovanna, Nicola e Gigi, che ci hanno consigliato come ultimo tiro lo spigolo Sara, quello che avevamo adocchiato all’inizio della giornata: un bel 5c a chiodi nel settore Spigolone e una tra le prime vie a essere chiodata nella falesia.

Lo spigolo è davvero affascinante. Alla base lo guardi in tutti i suoi 30 metri e la catena è là, esattamente sopra la tua testa, ma il tiro non prosegue dritto: si sposta leggermente a destra e quando si attraversa la prima parte su una conformazione rocciosa simile a un diedro, in verticale, ci si trova di fronte a un brevissimo traverso verso sinistra, biglietto d’entrata verso un interessante diedro, facile ma divertente.
Quel che più mi è piaciuto, oltre al tiro che richiede movimenti anche tecnici, è stato trovarmi di fronte a diversi chiodi (spesso molto vicini l’uno all’altro, quindi confermo che il tiro è ben protetto, quindi assolutamente da provare, sopratutto per chi ama le vie alpinistiche), ricoperti da quel che è rimasto di una vernice giallo acceso. Mi ha dato la sensazione di arrampicare su anni di una storia che, anche se poco conosciuta in confronto ad altre, mostra con i suoi segni la crescita di questa disciplina, l’evoluzione del metodo e dei mezzi, il nostro cambiamento. Già, anche noi siamo cambiati: perché siamo cresciuti, certo, ma anche perché è l’arrampicata a cambiarci. Se ci pensi, nemmeno tu sei quello di un tempo.
Ma chissà com’era prima…
Conosciamo quel che è stato attraverso le parole degli alpinisti che ci hanno preceduto, i loro racconti, le emozioni che traspaiono negli occhi talvolta lucidi.
Sì, prima era tutta un’altra storia.

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