Il cielo è limpido e il sole abbagliante. La temperatura del mattino ci fa vestire col piumino, ma a più strati, perché sappiamo che sulla parete sud del Sojo Bostel il sole riscalda animi e pelle.
Parcheggiamo al solito tornante, percorriamo qualche metro su strada asfaltata e ci incamminiamo lungo il sentiero di avvicinamento. Non centriamo subito l’attacco della via, lo superiamo, ma incontriamo due amici che ci indicano il punto qualche metro prima di dove siamo arrivati.
Perfetto: i colori della roccia e gli spigoli ci suggeriscono di uscire dal sentiero e salire verso l’attacco, che troviamo illuminato da una tonda targa “Andata e ritorno”. Per la prima volta inizio io con il primo tiro, che sale nella sua semplicità fino alla sosta su piante.

In alternata ci avvicendiamo nella salita e troviamo la via bella da arrampicare, non ancora pulitissima, ma non possiamo lamentarci. Andata e ritorno infatti è interessante da salire, non sempre intuitiva, ma ben protetta e chiodi o cordoni si individuano sempre. La roccia è chiara e abbagliante, e a volte può sembrare difficile identificare le protezioni, ma i tiri non sono mai né rischiosi né difficili. A parte l’ultimo.
Leggiamo la relazione che ci propone un’alternativa all’uscita “azzerabile” (il grado non c’è): una variante facile a destra soprannominata “la fuga del conejo”.
L’ultimo tiro lo scelgo per me e decido di salire l’originale, perché dalla penultima sosta intravedo un diedro fantastico: innamorata di questo stile d’arrampicata, mi faccio avanti e il mio compagno di cordata acconsente con cavalleria.
Arrivata al passo “azzerabile” cedo e faccio il primo di diversi rest: mi serve infatti qualche tentativo per poter azzerare, salire e arrivare all’ultima sosta. Le gocce di sudore scendono dal caschetto, la respirazione si fa veloce, ma trattengo il fiato ogni volta che cerco di mettere il rinvio al chiodo successivo: sono a circa metà del diedro e lì ci resto qualche minuto maledicendo i due centimetri in più di statura (o di lunghezza del braccio) che mi mancano per arrivare a infilare il moschettone. Riesco in aderenza ad alzare un po’ di più i piedi e finalmente azzero.
Non suona bene essere felice di azzerare, vero?! Ma ti giuro che in quel momento avevo una gran voglia di arrivare alla meta. E così è stato.

Scendiamo lungo il sentiero di ritorno e arriviamo all’auto.
Un’altra fantastica avventura è vissuta e scritta.