Via alpinistica Karl Unterkircher: la paura non è un limite

È un paese tranquillo quello di San Pietro Valdastico: quando arriviamo nel parcheggio ci accoglie l’immagine di una piazzetta con la sua fontana, l’acqua che scorre, un anziano seduto davanti casa a godersi la fresca ombra e pareti di roccia scarabocchiate dalla ricca vegetazione. Ed è proprio in queste pareti che noi siamo diretti, passando per la bellissima ferrata Anelli delle Anguane, composta da tratti soft e altri di estrema difficoltà.

parete della via alpinistica Karl Unterkircher

Materiale sulle spalle e partiamo per il sentiero di avvicinamento che ci condurrà all’attacco della via alpinistica Karl Unterkircher, dedicata all’alpinista morto sul Nanga Parbat, mentre saliva la parete Rakhiot, nel 2008, lo stesso anno in cui i suoi amici Kehrer e Nones aprirono la via, ripresa nel 2019 da Matteo Slaviero.

La relazione segna un VI obbligatorio, passi di VII e difficoltà R3. All’inizio, quando il mio compagno di cordata PG mi ha proposto questa via, ho declinato l’invito. Ma poi ci ho pensato e mi sono detta ‘perché non provarci?’, è una via alpinistica R3, ma i passi di VII sono protetti e mai ho scalato sulla parete del Sojo di Mezzogiorno. La via Karl Unterkircher è l’occasione giusta per farlo.

Stamattina il cielo è limpido, la parete è all’ombra e una leggera brezza ci concede di tanto in tanto una pausa dall’umidità che nasce dal sottobosco del sentiero di avvicinamento.

sentiero di avvicinamento – vista dell’attacco della ferrata
attacco della via

Arriviamo all’attacco della via dopo circa mezzora di cammino: dove parte il tratto di ferrata verticale (la parte estremamente difficile), svoltiamo a destra, incontriamo subito l’attacco della Via delle Anguane e dopo 10 metri ci accorgiamo del chiodo blu sotto il tetto della nostra via.

attacco della via Karl Unterkircher

Parte PG, che con fatica supera il piccolo tetto (passaggio di VII). Quando arriva in sosta, tocca a me: sono costretta anch’io ad azzerare per passare la pancia dopo diversi tentativi. La via parte mostrandoci subito la sua personalità e facendoci capire cosa ci aspetta.

vista panoramica

Insieme percorriamo il secondo tiro che prevede un tratto di ferrata. Giunti all’attacco del terzo tiro, guardo in alto: si vedono la fessura e il diedro, ma riesco a scorgere un solo chiodo. Sapevamo che le protezioni erano minime, quindi mi carico di friend e parto. La roccia non è delle migliori, anzi, spesso si stacca qualche pezzo, ma ricordiamo che la via è ripetuta pochissimo e Matteo (Tempesta) ha fatto davvero un bel lavoro. I tiri sono fantastici e, anche se le poche protezioni fanno temere il peggio anche nei passaggi più semplici, mi sembra che il tempo voli, nonostante la mia scalata sia rallentata dal monitoraggio della roccia sotto le mie mani e i miei piedi. La sosta è attrezzata con ottimi fix e mi preparo ad assicurare PG.

PG nel terzo tiro

Il quarto tiro sale in fessura per poi aprirsi in una placca e in una serie di gradoni di V.

uscita quarto tiro

L’uscita di questo tiro è stata la parte più brutta, tra erba e rami, fino a raggiungere un altro tratto di ferrata. Ma ne è valsa comunque la pena.

L’ultimo tiro è mio e prevede due diedri e una placca. Sui diedri mi diverto moltissimo, quindi non vedo l’ora di partire. Cerco l’attacco e inizio la mia scalata. Nella prima parte in mano mi restano due grosse pietre che riesco ad appoggiare senza danni: forse dovevo partire più a sinistra, ma ormai è tardi per scendere, quindi arrivo in una piccola cengia e mi preparo per la placca e l’altro diedro.

Lentamente affronto la placca, protetta da un solo chiodo e quando arrivo al diedro, felice di percorrerlo, non vedo altre protezioni. Meno felice, proseguo comunque. Il diedro è solcato da una profonda fessura che si allarga e si restringe. Piede e mano destri si avvicendano su piccole tacche nella parete a destra, mentre a sinistra c’è più posto con piatti più larghi. Alcuni tratti li arrampico in dulfer. Riesco a inserire un friend nella prima parte e a metà le cose si complicano (per me e il mio grado, ovviamente). Trovo una piccola cengia dove posso appoggiare l’avambraccio (lo spazio è quello) trattenendomi con le dita a una minuscola tacca per evitare di scivolare, con la mano sinistra tengo in verticale la fessura dove in quel punto ci passano sono le prime falangi. Ho superato di parecchio il chiodo e a proteggermi è rimasto un solo friend (l’altro si è staccato perché la corda l’ha sollevato). Decido di mettere un friend giallo nel tratto di fessura sopra la mia testa e per farlo devo contare sui minuscoli appoggi dei piedi a gambe distese e sull’avambraccio che diventa sempre più scivoloso per via del sudore. Cadere su un friend non è l’alternativa che preferisco: meglio metterne un altro e avere maggiori probabilità di riuscita. A fatica riesco a mettere il giallo e azzero… tiene! Salgo superando quel passo di settimo e arrivo al chiodo. Il tratto di tiro che mi si presenta davanti è un VI: più semplice, ma senza un chiodo a proteggerlo. Lo scalo in dulfer: la fessura è troppo larga per posizionare l’ultimo friend che mi è rimasto, ma abbastanza comoda per farci stare le mani.

Arrivata all’uscita cerco la pianta più robusta per costruire la sosta e attendo PG.

Come tradizione firmiamo il libro di via, curiosando se già qualcuno aveva provato la via di recente… ben pochi. Peccato! La Karl Unterkircher è una fantastica via, da non sottovalutare certo, ma pur sempre un’esperienza da fare.

Il ritorno prevede dei tratti di ferrata, una ventina di minuti in cui abbiamo il tempo di pensare alla nostra mattinata, scambiare due chiacchiere e farci anche un bel Ponte Tibetano.

Ponte Tibetano – Ferrata delle Anguane

Nel sentiero di ritorno incontriamo Jona, del bar Sport in centro a San Pietro Valdastico, e PG decide di aiutarlo a trasportare due tronchi lungo il sentiero: con una buona azione ‘uniamo l’utile al dilettevole’ dice.

Ammetto di essere felice. Abbiamo superato indenni un probabile volo con infortunio (R3) e abbiamo arrampicato una via davvero affascinante, in tutti i suoi aspetti.

Una via che consigliamo a chiunque veda la paura non come un limite, ma come un pizzicotto sul braccio che ci suggerisce di fare più attenzione.

Buona arrampicata! E condividi un commento se hai già scalato la Karl Unterkircher o quando lo farai!

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3 pensieri riguardo “Via alpinistica Karl Unterkircher: la paura non è un limite

  1. Complimenti per l’articolo, ottima descrizione e soprattutto gran bella via. Veramente un Peccato sia poco ripetuta; un grazie a Matteo per la sistemazione e un pensiero a Karl e Walter

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