Una via per diamanti pazzi che vogliono brillare

È da un bel po’ di tempo che PG mi propone questa via e quando ho letto la relazione mi ha talmente tanto incuriosito che è diventata il mio chiodo fisso.

Finalmente oggi è il giorno perfetto per salirla: il sole brilla in questo cielo di novembre, ma non tanto quanto il diamante pazzo che ci aspetta tra le pareti del Monte Cengio. Semi-nascosto da alcune velature, il sole scalda comunque l’aria e l’atmosfera, nonostante la stagione autunnale, assomiglia a quella della passata primavera.

Scendiamo lungo il sentiero dopo aver parcheggiato l’auto al Granatiere e in circa 2o minuti arriviamo a un breve ghiaione che ci conduce in pochi secondi all’attacco della via Shine on you Crazy Diamond, firmata da una visibile piastrina.

Ci prepariamo e inizio io la scalata sul primo tiro, semplice e su roccia abbastanza buona.

Dal secondo tiro la roccia inizia a essere davvero ottima e con un primo passaggio che ha fatto soffrire il mio compagno di cordata, ci avvicendiamo su tiri tra il quarto e il settimo che ci fanno divertire, sudare, contrarre i muscoli e sorridere.

Arriviamo al traverso con cui PG ha un conto in sospeso: l’aveva già provato e vuole liberarlo. Io lo vedo sparire dopo la discesa e da quel che posso sentire, penso che il conto sia ancora in sospeso. La conferma mi viene data quando lo vedo in sosta proprio di fianco a me.

Parto e la discesa mi riesce abbastanza bene.

A metà traverso, però, i miei avambracci chiedono pietà: non riesco a trovare buoni appoggi per i piedi e riposare, così azzero a braccia aperte e con grandi sospiri.

Anche la partenza del tiro successivo non mi riesce, perché la paura di volare in sosta non mi fa salire in libera, ma poi arriva il diedro che mi rasserena e mi conduce alla sosta.

Gli ultimi due tiri su belle placche sono davvero fantastici. L’uscita tocca a me e il panorama da favola, su uno dei punti più alti delle pareti del Cengio, mi coglie impreparata: a destra, oltre le montagne, le nuvole giocano con le loro illusioni ottiche e nella striscia di cielo azzurro vedo il mare. A sinistra altre montagne disegnano un orizzonte frastagliato che solletica la curiosità su quel che c’è oltre.

Dall’ultima sosta ci caliamo con una breve doppia e atterriamo all’uscita di Erica e Alice.

Soddisfatti, ma non abbastanza, ci promettiamo di ripeterla e liberare tutti i tiri, compreso il traverso che PG ha ancora in mente.

Corde e materiali in spalla, torniamo al parcheggio con una via in più tra le esperienze e la voglia di ripeterne altre, molte altre.

Siamo cresciuti con la convinzione inculcata dalla scuola, dai genitori e dai film, che sopra le nostre teste ci sia il cielo. No, sopra le nostre teste ci sono tante cose, tra cui un caschetto, una parete di roccia e una cima. Quando arrivi al cielo, solo allora puoi dire che sopra di te c’è un mare d’aria con colori straordinari, che riesci a toccare senza accorgertene e che ci unisce, nonostante tutto e se anche non lo vogliamo.

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