Una Magia d’autunno in primavera

Perché tentare vie con un grado superiore al tuo, con un grado obbligatorio che è nelle tue corde ma che è stato dato una ventina di anni fa, protette con spit ma in diversi tratti lontani l’uno dall’altro?

Perché ti fidi del compagno di cordata, che conosce il tuo modo di arrampicare, la difficoltà di queste via, la tua testa e… osa senza mettere in pericolo entrambi perché nella vita ha più di qualcosa da perdere. 

Detto questo, tocca a me: oggi siamo all’attacco di Magia d’autunno, una via aperta da F. Leardi, A. Ferronato e G. Rebeschini nell’autunno del 1986, con variante La gelateria di Puppi chiodata nel febbraio 1992 da F. Leardi e G. Tararan, e sistemata nel 2012 da B. Ballico e N. Antonello. Una via storica sulla parete Volo dell’Aquila in Valsugana.

Da quando ho letto la relazione e Fede me ne ha parlato, non vedevo l’ora di farla. “Iniziamo con le vie ingaggiose”, mi dice. Chiedo cosa intende con quell’aggettivo e mi risponde vago. Ma forse ho capito.

Partiamo dal paese di Costa e in circa un’ora di salita (forse di più date le mie fermate per riprendere fiato) arriviamo all’attacco. La parete è meravigliosa, con tetti accentuati dal colore della roccia, bianco e grigio, e dal gioco di luci e ombre: il sole già si mette a scherzare con noi che minuscoli ammiriamo la linea della salita.

Il primo tiro è un diedro ben protetto ma che no, non è il 6a a cui sono abituata. Ricominciamo con il solito ritornello: per quanto mi riguarda psicologicamente devo aggiungere un grado a quelli che ho letto nella relazione. 

Inizia Fede che libera il tiro e raggiunge la prima sosta. Non senza difficoltà ci arrivo anche io. Guardo in alto e osservo una bellissima placca a gocce, bianca e verticale, purtroppo breve. Il grado è 6a+: ‘caspita, quel + so che mi fregherà’, penso.

E invece no, mi blocco a metà parete con i piedi appoggiati sull’unica stretta cengia per riposare, provo e riprovo a fare il passo per superare il tratto, ma la tacca da prendere è sempre più in alto di dove arriva la mia mano. Azzerare non posso perché gli spit su 25 metri sono solo 4. Infine trovo la sequenza giusta e raggiungo la seconda sosta con estrema soddisfazione. Tiro liberato.

La terza lunghezza la affronta Fede su uno spigolo e una placca di 6b+, e un diedro di 6a. Lo raggiungo anche io azzerando sul passaggio della placca: questo tratto di parete è esposto e sotto di me il vuoto si fa più palese, ma non sarà l’ultima volta.

Tocca a me sul tiro che viene descritto come “la caratteristica principale della via”, “un lungo e aereo traverso da sinistra verso destra che richiede una scalata tecnica e sebbene il grado non elevato, mai banale”. 

Ci siamo: dalla sosta parto subito azzerando il passo di 6c che nemmeno provo soprattutto per l’affollamento di licheni sulla superficie della roccia. Dopo un metro, parto per il traverso. L’arrampicata è tecnica, sì, di equilibrio e dita su gocce che se mi va bene riesco a pinzare, raramente posso usare come tacche e spesso sfrutto con il pollice spingendo verso l’alto per aiutarmi solo nello spostamento laterale, dato che le piccolissime tasche guardano tutte in basso (e non in alto come speravo). Arrivo al punto dove inizia la variante La gelateria di Puppi che mi fa salire. O meglio, che dovrebbe farmi salire. Le provo proprio tutte per scalare verso la sosta a circa tre o quattro metri da me, sia a destra sia a sinistra. Nulla: c’è sempre una tacca buona (l’unica) che è troppo lontana dal punto in cui arriva la mia mano. Spit per azzerare prima della sosta non ce ne sono. Certo: fossi stata più alta… ma lasciamo perdere le giustificazioni e usiamo la testa. Dopo l’ennesimo tentativo verso sinistra (quello che mi sembrava più buono), con il rinvio troppo lontano dai miei piedi e il faticoso ritorno sui piccolissimi (oserei dire ‘quasi inesistenti’) appoggi, mi appendo al rinvio e la testa la uso solo per appoggiarla alla parete e pensare ‘ma chi me l’ha fatto fare?’.

Guardo Fede lontano a sinistra e no, rifarmi tutto il traverso per cedere a lui il tiro mai!

Guardo in alto la tacca buona, afferro il vigliacco (il rinvio con fettuccia semi-rigida), arrivo in verticale fin dove le mie gambe e le mie mani me lo permettono e aggancio il rinvio con il moschettone aperto nella tasca che, suppongo, sia buona. Intanto Fede da lontano mi grida “ah, vedi che c’era lo spit”. 

Caro lettore, non ti rivelo qui cosa ho pensato in quell’istante. Gli rispondo “certo, un bellissimo spit, e spera che tenga”. Ed è anche quello che penso: speriamo la tasca sia abbastanza buona da trattenere il moschettone. Mi affido alla speranza e carico tutto il mio peso sollevandomi fino alla presa. Ha tenuto: pendolo e volo schivati per poco. Raggiungo la sosta e dopo un bel sospiro recupero la corda.

Quando arriva Fede, prima di partire per il tiro con il passo più duro attraverso gli strapiombi, mi dice “brava, bisogna essere anche creativi per superare le difficoltà in montagna”. Lo guardo e… mah, probabilmente ha ragione. E con il senno di poi mi scappa un sorriso.

Per il quinto tiro riporto la descrizione trovata su planetmountain.com e mi limito a commentare che è stata dura.

“Salire la placca compatta con passaggio non banale appena sotto il primo strapiombo. Poi superare una placca e oltrepassare un altro strapiombo meno fisico ma più tecnico in uscita. Ora più facilmente fino alla cengia diagonale dove si sosta. 35m con 13 spit, 6b+,7a+/b o A1,5c.”

Appesa al rinvio sul primo strapiombo mi ritrovo sul vuoto e confesso di non voler guardare in basso, ma mentre riposo qualche secondo mi concedo la vista sul Brenta e su questa valle tra le verdeggianti alture e le alte pareti di roccia nuda. Fatica? Sì, ma non ero stanca: avrei potuto continuare a scalare altri tiri nonostante le difficoltà della via. Con due staffe supero gli strapiombi e arrivo in sosta.

Concludiamo poi Magia d’autunno con un ultimo tiro fino al bosco sommitale (non banale nemmeno tra la vegetazione), una camminata in salita di venti minuti e una bella passeggiata in discesa di circa un’ora e mezza attraverso il piccolo centro abitato di Valgoda e giù fino a incontrare il sentiero percorso nell’avvicinamento.

Divertita? Sì, tantissimo. 

Se consiglierei la via? Sì, ma con la consapevolezza di dover affrontare tratti poco protetti e passi obbligatori.

Perché “Magia d’autunno”? Anche se il motivo è abbastanza chiaro, l’ho chiesto a Francesco Leardi che mi ha risposto così:

“‘d’autunno’ perché l’abbiamo chiodata in questa stagione e la parete ‘Volo dell’Aquila’ perché una delle prime volte che abbiamo iniziato i lavori volava un’aquila in cielo. ‘Magia’ perché ci siamo trovati di fronte a questa meravigliosa parete che nessuno prima aveva pensato di salire, con una roccia molto bella e che magicamente si è presentata come una buona occasione per aprire una via”. 

E se anche l’abbiamo scalata in primavera, quella magia d’autunno, a nostro modo, l’abbiamo vissuta anche noi.

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