Tutto tace.
D’improvviso un lamento innerva il silenzio con una strana inquietudine.
Mi guardo attorno.
Nulla.
E poi ancora.
Finalmente riesco a sentirlo più definito. È il cigolare del legno, somigliante al rumore di una vecchia porta socchiusa che si muove sui suoi cardini arrugginiti.
È il vento il maestro di quest’orchestra, che si compone anche di foglie che cadono sulla roccia e poi a terra, dei capelli che si muovono svogliati sul viso, delle fronde che si abbracciano e si allontanano, un distacco interminabile che mormora, sospira, geme e lascia passare i raggi di un sole meravigliato.
È una mattina nel bosco, sotto la parete, e io sto osservando una fessura che scorre verso il cielo. È il mio viaggio, un altro.
Trattengo i miei pensieri, per non lasciarli al vento, e ci provo, ancora una volta, ad abbandonare quell’impulso.
Ma no, io salgo.
E poi si vedrà.