Guardarsi le mani e vedere tra le dita gli aloni bianchi lasciati dal magnesio dopo qualche ora di arrampicata: è questo uno dei segni di fine giornata che ricorda la fatica, sì, ma anche quell’entusiasmo e l’ebrezza che ti dà la scalata su pareti di roccia abituate a quel cielo terso, che ti sorprende sempre, come fosse la prima volta.
In quel contrasto del bianco sulla pelle screpolata, abbronzata dal sole e firmata dalla roccia, percepisci ogni dettaglio della salita: i momenti in cui guardi le tue dita infilarsi nelle fessure, i polpastrelli che si adagiano su quei punti che appaiono come bassorilievi tondi, lì ad attendere le tue impronte digitali.
Osservi le tue mani cercare forme, appigli, tacche e prese, buchi larghi o lunghi, espressioni di una roccia che non cambiano, ma con il tempo e l’usura si trasformano attraverso sfumature materiche impercettibili alla vista, ma tanto evidenti al tatto.
È in quel colore pallido lasciato dal magnesio tra le mie dita che osservo, seduta su una panca di legno costruita con un tronco, una tavola e qualche corda, la lenta evoluzione del mio corpo, il tempo che scorre, l’esperienza che si arricchisce di momenti vissuti, di libertà che finalmente comprendo di avere.
Abbiamo il diritto di provarci, metterci in gioco, sentirci come siamo e non come vorrebbero vederci.
Bello!!!
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