Cos’è un’ossessione?

Daniele Nardi ha visto quella meravigliosa linea, dall’ineguagliabile bellezza, sul Nanga Parbat: lo sperone Mummery. L’alpinista che diede il nome a questa via di accesso alla cima fu il primo, oltre cento anni fa, a vedere in quel luogo una possibile strada da percorrere.
Nessuno però riuscì mai ad attraversare quella via e i vari alpinisti che raggiunsero la cima della “montagna assassina” scelsero le alternative vicine.
Nardi no: l’alpinista di Latina, quando vide lo sperone, si innamorò di quella linea tanto da tornare più volte sul Nanga Parbat per provare a salirla senza mai successo, fino all’ultima volta, quando non tornò a casa.

L’esempio di Daniele Nardi è solo uno tra i tanti a ispirare riflessioni sul concetto di ossessione. Può essere amore a prima vista, ambizione, orgoglio, bramosia: sono molte le sensazioni, gli stati d’animo, le fiamme che ti bruciano dentro e a tutte può essere dato un nome o un giudizio, ma che ne sappiamo noi?

Cosa sappiamo di quel che divampa dentro ogni uomo che nella vita ha trovato qualcosa per cui nient’altro sembra più avere importanza?
Nell’alpinismo può essere una cima, un modo o una via per raggiungerla: ci pensi, ti organizzi, ne parli, non ci dormi la notte e continui a conviverci fino a che arriva un tentativo e poi un altro, e poi un altro ancora, finché non riesci a liberarti di questo pensiero tanto da dimenticarti di tutto il resto: della tua vita fuori dalla montagna, della tua famiglia e dei tuoi amici, di ciò che prima era parte di te e ora è solo una cornice del quadro che stai tentando di dipingere.

È stata un’ossessione quella di Nardi per lo sperone Mummery?
È un’ossessione quella che porta un uomo a rischiare la sua vita per realizzare un sogno?
È un’ossessione la scintilla che ti fa pensare “c’è una minima possibilità di farcela e quella possibilità potrebbe essere la mia”?
Se la risposta a queste domande è “sì”, allora significa che ogni oggetto delle nostre decisioni è un’ossessione, perché tutto ha delle conseguenze.

Ma pare che se una tra le conseguenze è la perdita della propria vita, allora questa ha un altro valore: può essere denigrata, utilizzata forse per giustificare una bandiera bianca innalzata.

E allora, ossessione o no, se il protagonista di questa vicenda non può più ribattere alle tante osservazioni, comprese quelle dei più esperti nell’ambito, non è forse meglio tacere?

L’ossessione esiste, in ogni suo manifestarsi. Coinvolge tante vite, ma chi siamo noi per dire cos’è bene o male. Non è una lacrima o la fama l’ago della bilancia, né è Dio l’arbitro, ma nemmeno l’uomo.

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