Agner, il viaggio infinito

“Mamma, non preoccuparti, va tutto bene… è che tornerò tardi. […] No, tranquilla, sto benissimo: abbiamo solo fatto tutto con calma, ce la siamo presi comoda insomma. […] Sì certo, siamo al rifugio e non c’è nessun problema!”

Non nego che mi è scesa una lacrima per aver fatto preoccupare a casa, proprio davanti al bivacco Biasin. Anzi, no, dietro al bivacco: di mettermi davanti con una valle infinita ai miei piedi non me la sono sentita. Mi sembrava quasi di avere le vertigini. Divertente eh?! Abbiamo scalato circa 1800 metri e siamo arrivati a 2872 metri, ma guardare il mondo terreno a pochi centimetri dai miei piedi senza una corda in mano, nel momento in cui eravamo quasi al cospetto degli dei nel cielo, mi dava la sensazione di cadere nel vuoto. Sarà stata la stanchezza e il sole che pian piano stava tramontando, ma sentivo più vicino il vuoto. E poi queste pareti dolomitiche, a guardarle, ogni volta mi danno le allucinazioni con i loro giochi ottici di sfumature e profondità.

Siamo sull’Agner ed è stata tutta un’altra storia da come me l’aspettavo. Quindi partiamo dall’inizio.

A Frassené, dove abbiamo lasciato l’auto, Fede, Andrea e io abbiamo mangiato un buon piatto di pasta e durante la passeggiata dal piccolo ristorante e albergo La stella Alpina  verso la macchina cercavamo di scorgere la parte sommitale dell’Agner, ma con una corona di nuvole grigie, non si è svelata. Abbiamo portato la seconda auto a Taibon Agordino (paese da dove prenderemo il sentiero di avvicinamento), dove abbiamo dormito una notte di sogni e pensieri che si affollavano nella mente: come sarà la salita all’Agner?

La scalata lungo lo Spigolo Nord (via Gilberti/Soravito) prevede più di venti ore di arrampicata effettiva, se si percorrono tutti i tiri. E noi intendiamo fare questo, in piena sicurezza.

“La conquista della parete nord est si deve a tre alpinisti non più giovanissimi: Arturo Andreoletti, milanese e ideatore della salita, Francesco Iori di Canazei, capocordata, e il triestino Alberto Zanutti, filosofo del gruppo. Nei giorni 14 e 15 settembre 1921 il trio riuscì a percorrere la logica e lunghissima teoria di canali, camini e fessure posti a sinistra dello spigolo nord, con difficoltà dichiarate di V+ e senza l’infissione di chiodi. A questa impresa venne certamente riconosciuta l’importanza dovuta al fatto di aver superato per prima la grandiosa parete, ma non le fu assegnato inizialmente il reale valore che meritava. Ciò avvenne probabilmente perché i primi salitori non possedevano una fama pari ai grandi alpinisti dell’epoca, come poteva valere ad esempio per gli scalatori della Scuola di Monaco, perché la nuova via non venne adeguatamente pubblicizzata (anche a causa della modestia e riservatezza dei primi salitori) e probabilmente anche per il limitato uso di mezzi di protezione degli italiani sull’Agnèr. 
Sulle lunghezze mediane dello Spigolo nord.
Fu soltanto 11 anni più tardi, il 29 agosto del 1932, che Celso Gilberti e Oscar Soravito riuscirono a percorrere l’evidentissimo Spigolo nord, 1600 metri di dislivello, la via più lunga delle Dolomiti.
[…]
Va comunque sottolineato che lo Spigolo nord rimane comunque una salita di impegno considerevole e che un’eventuale ritirata dopo la prima metà si configura sempre difficile e laboriosa. Lungo lo spigolo, un’ideale posto da bivacco è localizzato all’incirca a metà percorso, presso una cengia di mughi, dove è possibile anche utilizzare la copertura di un grande masso. È sempre consigliabile una buona scorta d’acqua durante la salita dello spigolo, in quanto non esistono sorgenti naturali.” 

[estratto dal n°35, maggio-giugno 2012, di Vertical Magazine]

Lo Spigolo Nord in autunno. Foto di Ettore De Biasio.

“La prima solitaria venne poi compiuta da M. Fabbri il 24 luglio 1956. Per la prima invernale bisogna invece attendere il 13 febbraio 1967 quando la triade Sepp Mayerl, Reinhold e H. Messner riuscirono nell’impresa dopo 3 giorni in parete.” 

[Fonte: valledisanlucano.it]

È il 16 luglio 2023.

Parto entusiasta.

Monte Agner.

L’Agner si erge a forare quel velo trasparente che ci separa dal celeste di una giornata splendida. Ti fai vedere ora, eh?! A soli 816 metri di quota, a Taibon, questa montagna pare immensa e fa un po’ paura.

Io, Andrea e Federico.

Ma il sentiero di avvicinamento sotto un sole cocente mi fa già per un momento desistere. Penso “se ho già qui il fiato corto, come affrontare una via di due giorni?”.

Dopo innumerevoli soste per riprendere fiato e asciugarmi le gocce di sudore che scendono da fronte, collo e spalle, arriviamo all’attacco in un’ora e mezza (quindi per i più resistenti posso affermare che l’avvicinamento è di un’ora, un’ora e un quarto). Il primo tiro è un diedro umido e ricco di vegetazione. Osservato dal basso, senza guardarsi attorno e accorgersi di essere osservati da pareti immense, sembrerebbe di dover salire una piccola altura di provincia. La cima dell’Agner è ancora molto lontana e da qui non si vede.

Attacco, primo tiro su diedro.

Non descrivo i tiri perché già la relazione di sassbaloss.com e questa versione integrata sono molto dettagliate (quest’ultima molto consigliata e se vuoi uno schizzo della via, clicca qui), quindi mi limiterò a qualche informazione. 

La prima parte è una successione di tiri attraverso vegetazione, pietre instabili, distese di mughi tra i quali non è facile passare

e qualche tratto di roccia meravigliosa, che preannuncia la seconda parte della via.

In questa prima parte le soste sono in prevalenza su mughi, ma capita ci aiutino anche per qualche protezione. Saranno anche difficili da passare quando sono in gruppo, ma gli alpinisti ringraziano queste piante e si inchinano al loro cospetto per il supporto nei momenti difficili.

Quando stiamo per arrivare alla cengia del bivacco a circa metà salita, sentiamo delle voci.

Grazie a Fabio per questa foto.

Un’altra cordata di due ragazzi dista pochi tiri da noi e, arrivati in cengia, passiamo la serata e la notte in compagnia. 

Sono Francesco “Svevo” e Fabio, due scalatori della provincia di Padova che con corda singola e qualche tiro in conserva hanno deciso di affrontare l’impresa.

Fabio

Trascorriamo la notte con temperature accettabili, un tetto di stelle, un panorama gratuito

e la parete finale dell’Agner che appare come lo schienale di un enorme trono. Noi siamo ancora sulla seduta.

Alla mattina ci alziamo alle prime luci e insieme ai ragazzi ci avviamo per attaccare la seconda parte. 

La roccia all’inizio non è molto buona e alcuni passi delicati ci rallentano. 

Ventesimo tiro.

Alziamo gli occhi e la cima è già più vicina: ci mancano ancora 16 tiri e 150 metri di facili roccette, ma siamo carichi.

Tutto fila abbastanza liscio e anche se la sete si fa sentire, come il sole che picchia sulla pelle e i piedi gonfi, la meravigliosa roccia (che ai miei due compagni di cordata ricorda quella della Marmolada) ci appaga della fatica. 

Gli ultimi tiri, che sono i più difficili della via, li saliamo soffrendo il male ai piedi e la stanchezza, ma il cielo è sempre più vicino. 

L’ultimo tiro si chiude all’inizio delle facili roccette. Però tanto facili non sono dato che almeno per la prima parte è meglio tenere le scarpette, per arrampicare ancora un po’. 

Fede sul tiro chiave, il trentesimo.

Per garantire un minimo di sicurezza, spezziamo il tratto in due tiri di corda con soste precarie e rare protezioni su due chiodi, qualche spuntone e una clessidra. 

Dietro di me gli ultimi 150 metri di “facili roccette”.

Dopo una mezzoretta siamo alla terrazza, dove altri dieci minuti di cammino verso destra ci separano dalle indicazioni per il bivacco Biasin. Siamo fuori. Ora si scende.

Wow, come appare diversa la mia faccia da un giorno fa! E che importa?! La salita è conclusa e stiamo bene. Non ho fatto molto in questa salita arrampicando sempre da seconda, ma per la mia seconda via in Dolomiti non potevo pretendere che i miei compagni si fidassero a cedermi il passo. Devo ancora imparare molto: leggere la via in parete, proteggermi al meglio, attrezzare bene le soste… Già, l’alpinismo e l’arrampicata nascondono molti aspetti che diamo per scontati o che non ci sarebbero mai passati per la testa. Ma quando in gioco c’è la vita, anche il dettaglio può fare davvero la differenza.

Mi permetto un’osservazione (e non sono la sola a pensarlo, per questo lo scrivo): lo Spigolo Nord dell’Agner non è una via semplice, non solo per l’ambiente e per le tante ore di arrampicata, ma anche per i gradi. Molti III gradi potrebbero essere quarti e così via. Dobbiamo infatti renderci conto che non siamo in falesia o in una via sportiva a spit: molte soste sono da attrezzare, pochi tratti (quelli più difficili) sono protetti da vecchi chiodi, gli altri per la maggior parte sono sprotetti e da integrare. Il tiro chiave è un VI-, ma sfido chiunque a definirlo 5c. Infatti dobbiamo pensare che è una via salita in artificiale e degli anni ’30, come lo sono i gradi dati.

Lo ribadisco: nessuno sottovaluti questa via.

Torniamo a noi, ancora sull’Agner.

Il sole sta per tramontare: dobbiamo sbrigarci se non vogliamo bivaccare con meno di mezzo litro di acqua a testa.

Iniziamo il percorso esposto sulla valle, solo a tratti protetto con funi di acciaio per alcuni metri. Arrivati al bivacco il sole si sta per nascondere dietro le cime delle montagne di questa selvaggia Valle di San Lucano. Chiamo mia mamma per tranquillizzarla e avvisarla che è probabile tornerò a notte inoltrata o domattina.

Siamo in cinque, stanchi, ma l’adrenalina e la speranza di riuscire ad arrivare al Rifugio Scarpa prima del buio ci fa proseguire. Scegliamo la normale, la più sicura, ma comunque molto esposta. Non mi nascondo: molti tratti sono scesa a scivolo, con l’imbrago e i friend che si impigliavano tra le pietre. Che vuoi che ti dica, le discese mi fanno sempre un po’ paura, soprattutto queste, e ai piedi aggiungo un supporto. 

(A proposito, ringrazio i miei compagni di avventura che hanno trattenuto le risate.)

Percorriamo la via di ritorno, protetta nei tratti più esposti con le funi in acciaio, attraversiamo una lingua di neve ghiacciata e arriviamo all’ultima parte della discesa che ci porta al sentiero attraverso i prati. Vediamo le luci del Rifugio Scarpa sempre più vicine come la notte. 

Sono circa le 22 quando assaporiamo la nostra birra tutti insieme, seduti su una sedia, con i gomiti su un tavolo e con i piedi appoggiati a terra.

Mezzora dopo rimettiamo lo zaino in spalla, prendiamo l’attrezzatura, posizioniamo la frontale per scendere il sentiero che conduce a Frassenè in un’ora circa. Abbiamo provato a chiedere ai rifugisti un passaggio, ma la risposta è stata “no, lo Spigolo non è concluso se non viene fatto fino in fondo”. Giusto, allora andiamo.

Ecco com’è la montagna: toglie energie, ma regala momenti indimenticabili, nuove conoscenze, esperienze utili, una consapevolezza che ti fa sorprendere di te, sensazioni che non provi sul divano di casa.

Bene, dobbiamo riprendere l’ultima parte del ritorno.

Quindi uscimmo a riveder le… no, Dante finì il suo cammino con le sole stelle. Noi anche con le lucciole in mezzo ai prati. Ai piedi dell’Agner. Dopo un viaggio infinito. 

[Grazie a Federico e Andrea che si sono divisi i tiri. Grazie a Svevo e Fabio per la compagnia.]

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