Paolo Leonardi: l’arrampicata senza filtri

Con Paolo Leonardi non ci si annoia nemmeno in auto: la sua passione per la montagna e l’alpinismo si rivelano spontaneamente anche nel modo di gesticolare… ma sempre con una mano sul volante, chiaro.
Diretti a Trento per una sessione di arrampicata, questa volta in struttura perché il tempo non ci ha concesso altre possibilità, ho approfittato del viaggio per fargli qualche domanda. Perché sulla strada, tra pareti di roccia a destra e a sinistra, si sa, gli arrampicatori non possono far altro che contemplare la roccia e tutto quello che ci sta attorno.

Ah, dimenticavo: non l’ho avvisato che avrei riportato le sue parole in un’intervista e ho rischiato che questo articolo non vedesse mai la luce, ma poi tutto è andato come previsto, con qualche sua aggiunta e la sua approvazione.

Sono quarant’anni che arrampico, senza interruzioni nonostante il mio lavoro senza orari e qualche infortunio. Non ho mai smesso di amare la montagna e l’arrampicata, in falesia e in quota. Quando scalo spengo la testa e nulla conta più della roccia che ho davanti: i miei pensieri viaggiano sui movimenti che devo fare, sul trovare la sequenza di appigli e appoggi più semplici per la progressione e i migliori riposi per risparmiare un po’ di forze. In montagna nelle vie alpinistiche le cose cambiano: conta l’istinto nell’individuare la linea di salita più facile per la progressione e non devi  preoccuparti di dove sono le protezioni, perché spesso sono davvero poche e se vuoi arrivare in cima, devi osare e prenderti dei rischi.
In montagna sulle vie classiche ci vuole più testa che forza!

Paolo, chi sono secondo te i più forti alpinisti di oggi?
Io ricordo gli altoatesini come Christoph Hainz, Roland Mittestainer e oggi Simon Gietl: sono molto bravi, sono alpinisti completi perché fanno tutto, dalle vie in montagna alle vie di misto, dry tooling, arrampicata sportiva ad alto livello, boulder e altro.  Sono, come si dice oggi, polivalenti ai massimi livelli.
Alexander Huber è per me un alpinista completo, tra i più forti, come suo fratello Thomas. Hanno altissimi livelli in tutte le discipline dell’arrampicata e hanno portato la scalata di elevate difficoltà anche in montagna, aprendo vie di ottavo in quota, a 6000 metri fino a 20 gradi sotto lo zero. Questi hanno le palle! (ride)

Quindi un alpinista, per essere definito tale, deve saper fare tutto.
Diciamo che anche in montagna si procede per cicli storici: siamo passati dall’alpinismo classico anni ’30/’40, in cui gli alpinisti erano polivalenti per necessità, perché dovevano sapersela cavare in qualsiasi situazione si trovassero (neve, ghiaccio, roccia marcia, itinerari di salita e discesa per lo più sconosciuti e con una scarsa attrezzatura a disposizione), fino agli anni ’80, quando l’alpinismo è stato diviso in diverse specializzazioni: alta quota, misto, vie lunghe classiche, artificiali estreme fino all’ A5, vie lunghe a spit, arrampicata sportiva in falesia, boulder e altre.
Ma tutto, come dicevo prima, è ciclico. Ora si sta tornando alle origini: il più bravo di tutti, l’alpinista completo, è quello che sa fare tutto e bene, che ha alti livelli in ogni disciplina.

Ma Messner faceva boulder?
Certo, ma all’epoca non si chiamava così: era allenamento sui sassi!
Gli alpinisti come Messner sono completi, perché negli anni ’70 non c’erano le categorie come oggi. Nessuno all’epoca conosceva il boulder come lo identifichiamo adesso e c’era il misto perché in inverno, quando scalavano le pareti, utilizzavano scarponi e piccozze.
Facevano tutto: quando non scalavano vie alpinistiche, si allenavano su monotiri nelle pareti vicino casa (il nostro attuale “andiamo in falesia”). Parliamo di allenamenti stagionali: in inverno ghiaccio, in primavera media montagna e falesia, in estate vie lunghe. Al tempo non avevano le possibilità di allenarsi come oggi in strutture artificiali tutto l’anno.

E poi tutto si è evoluto…
Il punto è che con il passare del tempo abbiamo spinto all’estremo ogni disciplina: ai loro tempi gli alpinisti classici come Messner hanno fatto cose impensabili per l’epoca con gli strumenti e l’abbigliamento che avevano, e gli allenamenti che potevano fare. Per l’alpinista contemporaneo è diverso: dispone di attrezzature sofisticate e può allenarsi anche in palestra, sull’artificiale.

Quindi, ad esempio, se oggi uno scalatore salisse vie alpinistiche in artificiale, non in libera, non sarebbe un alpinista contemporaneo completo?
Premetto che ogni alpinista o scalatore è libero di andare in montagna come vuole e con lo stile che preferisce, però oggi l’artificiale è considerato molto poco. Un tempo molte salite prevedevano una progressione in artificiale, perché contava conquistare la cima, non lo stile, non importava se per farlo si utilizzavano staffe e altri sistemi dell’artificiale.
Tecniche e materiali si sono talmente evoluti che se vuoi essere un professionista dell’arrampicata, devi emergere e le vie le apri e le sali in libera*.
Ad esempio, tetti che un tempo passavi solo in artificiale, oggi li scalano in libera.

*Salire una via o un tiro in libera (liberare un tiro o una via), significa scalare senza riposi ai rinvii o alle protezioni, senza cadere, senza utilizzare strumenti artificiali e arrivare fino alla catena o alla sosta.

Dal tuo punto di vista, insomma, chi è l’alpinista contemporaneo?
Secondo il mio umile parere, oggi un bravo alpinista è uno che arrampica a vista, anche in falesia, e sa spostare i propri limiti sempre più avanti. Pensaci: se porti in montagna uno scalatore abituato a lavorare i tiri prima di liberarli, non potrà mai scalare al limite delle sue capacità e dovrà quindi arrampicare molto al di sotto del suo grado lavorato.

Anche nell’alpinismo puoi spingerti oltre i tuoi limiti?
L’alpinismo non è una disciplina sportiva come l’arrampicata in falesia, perché ha rischi intrinsechi e imprevedibili che sono enormi (temporali improvvisi, piccole frane, difficoltà nel trovare la via di salita e altri).
Nell’alpinismo devi essere preparato e motivato, non puoi permetterti di sbagliare.
Insomma: a differenza dell’arrampicata sportiva, nell’alpinismo devi mettere in conto che puoi rischiare di morire e inoltre ti trovi spesso in luoghi lontani, dove i soccorsi arrivano con difficoltà.

Una curiosità: secondo te in falesia un tiro salito con i rinvii già in parete può considerarsi “liberato”?
Con i rinvii in parete il tiro si può liberare, ma la salita diventa un po’ più semplice: io nasco alpinisticamente negli anni ’80, quando per liberare un tiro parti da terra con i rinvii attaccati all’imbrago e arrivi in catena. Ma i punti di vista sono vari: moltissimi falesisti, professionisti dell’arrampicata sportiva, ti diranno che un tiro è liberato anche se ti trovi i rinvii appesi.
È però evidente che se io ho già i rinvii in parete, spreco meno energia. Prova a contare per ogni rinvio il tempo di prenderlo dall’imbrago e appenderlo allo spit, oltre a rinviare, e moltiplicalo per tutti i rinvii: la mia resistenza in quei secondi potrebbe essere superiore oppure no e questo potrebbe rappresentare la condizione che mi fa chiudere o meno un tiro.
Nelle sale indoor posso capire che i tiri siano gradati con i rinvii in parete, è necessario per massimizzare la sicurezza di tutti.
È noto che in falesia ormai si adotta anche il modo di scalare delle sale indoor con i rinvii in parete: buon per me che essendo più vecchio e meno forte riesco a liberare qualche tiro in più! (ride)

E parliamo dei tiri che hai chiodato tu: come li presenteresti?
Ecco che vuoi provocare la polemica… (ride)
Io non chiodo per mettere in difficoltà chi vuole provare i miei tiri, ma lo faccio per esprimere il mio punto di vista sulla salita e sull’arrampicata. Il mio modo di chiodare nasce dalla mia storia alpinistica, quando c’erano pochi chiodi e spit a disposizione.
È semplice: nei miei tiri non puoi azzerare nei passaggi chiave, devi arrampicare, ma c’è sempre la possibilità di rinviare e passare.
La differenza tra i miei e quelli di altri è che il passaggio chiave è obbligatorio e spesso ce l’hai prima di rinviare, perché io ho sempre scalato così, le vie alpinistiche che ho salito erano così.

Ma è giusto chiodare per se’ stessi o anche per altri?
La parete è vergine e se la vedo, chiodo a modo mio. Ognuno sarà poi libero di ripetere i miei tiri oppure no.
Ogni mio tiro e ogni mia via è stata chiodata e liberata così com’è. Tanti miei tiri non sono stati ripetuti, magari anche per paura di farsi male, ma allora basta scegliere altri tiri.

Richiodare le vie alpinistiche classiche: cosa ne pensi?
Penso che quando sistemi le vie classiche che hanno aperto alpinisti di fama internazionale, con gli scarponi e un chiodo ogni venti o trenta metri, le devi richiodare com’erano.
Rappresentano la storia e tali devono restare: questi tiri, così come sono stati chiodati, raccontano e dimostrano ai giovani il coraggio e l’abilità dei vecchi alpinisti, che hanno scalato magari un 6b, ma con pochi chiodi e con gli scarponi.
Oggi abbiamo già il vantaggio di poter utilizzare protezioni veloci come dadi e friend, oltre ad attrezzature straordinarie rispetto a quelle di una volta. Aggiungere protezioni fisse nella sistemazione non ha senso. Una via aperta e ripetuta così, deve rimanere la stessa. Se vuoi scalarla, lo fai come è stata pensata. Se non te la senti, scegli un’altra via, perché nessuno ti obbliga a ripeterla.

Come ti senti quando scali?
L’arrampicata è libertà pura: l’ho capito già negli anni ’80, quando ho iniziato ad arrampicare. Sempre a modo mio.

Definire una persona esuberante, particolare, folle è solo un proprio punto di vista: ti basi sui tuoi canoni, quelli che ti sei creato con l’esperienza e con l’analisi delle tante personalità che incontri e con cui ti relazioni. Paolo lo puoi giudicare e criticare, amare o odiare, ma come tanti altri, lui è semplicemente così, come un suo tiro: puoi affrontarlo oppure, se non ti va, puoi sceglierne un altro.

Grazie Paolo: di non avermi concesso l’intervista, ma di avermela approvata; di aver chiodato tantissimi tiri che è bello ripetere e di aver in parte contribuito anche tu alla storia dell’alpinismo.

Ah, dimenticavo ! Anche la vita è una questione di scelte. Ad esempio è come la montagna: puoi scegliere di arrivare alla cima o fermarti a metà strada e calarti. La salita è complicata, ma tornare indietro spesso è ancora più rischioso.

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