Arrampicata del futuro e futuro dell’arrampicata – seconda parte dell’intervista a Paolo Cerin e Federico Stefani

Siamo in auto, al ritorno da Arco, dove sulla parete di Padaro abbiamo salito i diedri di Elision

Sabrina e Gabriele scherzano tra di loro accanto a me, mentre Paolo e Federico mi parlano di arrampicata, alpinismo e Dolomiti.

Questa è la seconda parte dell’ennesima mia intervista semi-seria a sorpresa e la prossima è l’ultima domanda… forse.

Come vedete il futuro dell’arrampicata?

Federico – Tante parole e storie sono inutili, la realtà è quella che abbiamo davanti agli occhi: le vie plasir, l’arrampicata in palestra e in falesia avranno sempre maggior seguito finché questo sport andrà ancora di moda. Poi, come vedi, quando la moda passa, si cambia disciplina.

Moltissime persone che hanno appena iniziato ad arrampicare vogliono divertirsi senza correre rischi (o almeno ridurli al minimo), vivere esperienze fuori dallo stress quotidiano e tornare a casa sani e salvi: insomma, avere un pacchetto preconfezionato che certamente non prevede l’alzataccia alle 4 o 5 del mattino per arrivare alla Cima Grande di Lavaredo, patire il freddo, farsi parecchi tiri con protezioni lontane, far fatica e mettersi addosso uno stress psicologico non da poco.

‘Meglio scegliere una via plasir dove posso dormire vicino o di fronte all’attacco, in furgone o in rifugio, iniziare ad arrampicare alle 9, farmi 6 o 7 tiri e tornare per merenda o cena.’

Isolamento, avvicinamento e ritorno lunghi, una parete altissima davanti… sono aspetti dell’arrampicata alpinistica che hanno un futuro, ma per pochi.

Come sarà l’arrampicata domani? Finché durerà la moda, ci sarà sempre più gente che inizierà ad arrampicare, poi, quando questa disciplina arriverà al suo apice, caleranno gli appassionati e come un in ciclo la scalata tornerà ad affascinare e attrarre.

A livello alpinistico ci saranno differenze sempre più evidenti tra i fortissimi, che compiono imprese ogni volta più straordinarie, e gli altri che vedranno questo tipo di arrampicata come un passatempo o un’esperienza da fare una volta nella vita.

Quello che più mancherà sono gli alpinisti “normali”, quelli che non erano o sono professionisti della montagna e nemmeno eccellenze, ma selvaggi amanti delle vie alpinistiche nel loro senso più puro. Mancherà la fascia medio-alta, insomma.

Quando io e Paolo abbiamo scalato la Lacedelli-Scottoni, eravamo solo due cordate in tutta la parete: gli altri due erano alpinisti austriaci, che hanno arrampicato il secondo tiro con passo chiave di 7a+ in libera a vista. Ricordo che Paolo mi disse di lasciarli passare perché certamente sarebbero stati più veloci di noi. Ebbene, nei tiri di V e V+ gli abbiamo dato 45 minuti di distacco arrivati alla cima. Il motivo è semplice: nei tiri difficili ben chiodati loro viaggiano, ma nei tratti dove è necessario proteggersi e trovare la via cedono psicologicamente.

Lo stesso puoi vederlo nell’arrampicata sportiva: vai in palestra e trovi climber che ti fanno 7a o 7b e in falesia gli trema la gamba scalando il 6a.

Paolo – Guarda Silvio Reffo, uno scalatore che tutti conosciamo e che nel curriculum conta diversi 9a: quando ha provato a ripetere e passare in libera Nuvole Barocche, (una via sul Civetta con un tratto dove nessuno è mai passato in libera ed è protetto con spit), ha tirato solo quel pezzo. Il resto della via, in stile alpinistico, l’ha tirato Alessandro Baù, uno scalatore fortissimo che però è un grado inferiore a Reffo. 

Le difficoltà di ottavo per uno che fa il 9a sono un gioco da ragazzi, ma questo esempio come altri ti conferma che una via poco protetta e a chiodi, pur essendo di quel grado, fa più paura di un tiro a spit di nono.

Ma torniamo al futuro dell’arrampicata. Avrai notato che nei dintorni di ormai tutti i rifugi si stanno creando delle climbing zone: attrezzano con spit un pezzo di parete vicino alla struttura per avvicinare alla montagna anche chi fa solo falesia. Tutto questo soprattutto per un fattore economico. Stanno creando dei “parchi gioco” per favorire l’avvento delle persone.

Quello che mi preoccupa è il futuro delle vie storiche: sembra che l’unica strada per farle conoscere e scalare da più persone possa essere solo quella di proteggerle con spit alle soste e in alcuni tratti lunghi senza chiodi, così da renderle meno pericolose, ridurre i rischi.

Da un certo punto di vista porti più gente, dalla prospettiva opposta, però, togli l’essenza della via.

C’è chi dice che le vie storiche non si devono toccare e che se si ha paura di scalarle, basta sceglierne altre. Siete d’accordo?

Paolo – Quando abbiamo arrampicato con una guida, che la pensava come i puristi e cioè ‘meno protezioni metti, meglio è’, quindi con un’etica ancora più ferrea della nostra, mi ha confidato che stava pensando di inserire tra i chiodi degli spit in una via che aveva chiodato, perché altrimenti non l’avrebbe scalata più nessuno. Effettivamente la via aveva pochissime protezioni, ma il ragionamento, come vedi, sta mutando.

Un altro esempio è la via Polemica di Grill, che ha lasciato come lui l’ha aperta, con pochissimi chiodi, in risposta alle critiche dei puristi. Dopo 5 anni ha avuto solo una ripetizione. Risistemata, ha iniziato ad avere diverse ripetizioni. E allora dov’erano i puristi? Non in parete…

Federico – La mia opinione è questa: se un alpinista mi dice di voler togliere i chiodi di una via storica e metterci gli spit, non sono d’accordo. Se invece il discorso volge sulla sicurezza e mi viene detto di aggiungere uno spit alle soste e qualche spit tra i chiodi nei tratti più friabili e magari più lunghi senza protezioni, allora mi sembra più corretto. E sai perché?

Gli alpinisti del passato hanno aperto le loro vie in un certo modo e con vari chiodi, con soste buone. Ma negli anni qualche chiodo si è tolto o è stato tolto, le soste sono meno buone, la natura si trasforma e quindi sì, sono d’accordo ad aggiungere qualche spit, perché non cambi il valore storico della via e dell’apertura. Se metti uno spit o un chiodo alla sosta, non ti cambia la difficoltà dell’arrampicata.

Ma le correnti di pensiero sono varie e questa è la mia opinione. Certo è che chi è contrario a toccare le vie storiche, vorrei prima vederlo lì, a ripeterle.

Come ha detto Paolo: basta che non diventi tutto un parco giochi…

Ditemi un vostro messaggio ai giovani che si approcciano all’alpinismo.

Paolo – Non improvvisare: è bene partire con molta umiltà da vie classiche di terzo o quarto grado, anche se in falesia si fa il 6b o 6c. Perché quelle vie ti insegnano a leggere la montagna, a proteggerti.

Federico – Aggiungo una cosa: studiare la storia dell’alpinismo e delle vie, da chi sono state aperte e come.

Quale sarà il futuro dell’arrampicata? Non lo sappiamo: come possiamo conoscere il futuro di qualcosa? Siamo incerti anche sul nostro!

Ma di una cosa siamo sicuri, della speranza che le vie storiche conservino per sempre il loro valore, le linee, l’essenza, i sogni dei grandi alpinisti che le hanno aperte.

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