Ai tradimenti e alle guide alpine

Che partenza… ma voglio subito precisare che questi due concetti sono collegati solo da un nome, Marco Geri del CAI di Perugia, che ho avuto il piacere di incontrare oggi, sabato 25 marzo, al convegno tenuto dal CAAI (Club Alpino Accademico Italiano) a Cittadella.

Torniamo all’inizio: ti chiederai il motivo di questo titolo e che c’entra Marco. Te lo spiego subito.

Durante l’assemblea, che precede il convegno sulla salute in montagna, Marco Geri prende la parola per un intervento di cui le prime parole mi stupiscono: “parlerò di un tradimento”. Non approfondisco l’argomento, ma lo voglio in sintesi condividere con te per poi passare oltre: Marco parla di un tradimento da parte del CAI, utilizzando apposta un termine provocatorio, per sottolineare quanto il club stia oggi tendendo a tralasciare l’alpinismo puro e il vivere la montagna in senso stretto e autentico per “fare spazio a iniziative di carattere essenzialmente turistico, indubbiamente piacevoli, ma che nulla hanno a che spartire con la cultura e i valori dell’alpinismo” (citazione di Mario).

A favore o contrari, in molti condividono il pensiero di Marco.
Il dibattito sarebbe davvero ampio, ma il tempo è poco e dopo Marco interviene Alessandro Baù, (alpinista, accademico, atleta, guida alpina, ingegnere e chi più ne ha, più ne metta) con un altro tema caldo: ‘perché le guide alpine non possono entrare nel CAAI?’.

Faccio una premessa e cito il sito del CAAI dove è riportata una frase presente nell’editoriale dell’Annuario 1924-26, in cui il presidente Hess afferma cercando di indicare la ragion d’essere dell’Accademico: “[…] oggi che il CAI è diventato una società numerosissima e complessa, sparsa in tutta Italia, con problemi nazionali e politici, con indirizzo di popolarizzazione, con scopi editoriali e commerciali […], oggi più che mai ha ragion d’essere una istituzione che si ispiri ai puri ideali del grande alpinismo e si preoccupi esclusivamente dei problemi della tecnica alpina e dello studio delle montagne”. 

E nella stessa pagina del sito si legge

“Fu grande merito di Umberto Balestreri aver indicato concretamente come esercitare questa funzione, intuendo l’importanza di un inserimento del Club nella struttura del CAI e invitando i soci a non limitarsi a esplicare un’attività alpinistica ragguardevole, ma a diventare “presso le varie sezioni del C.A.I. guide e centri di alpinismo specialmente tra i giovani” (R.M. CAI 1931, 701).”

Torniamo al dibattito.

Ebbene sì, le guide alpine non possono diventare accademici del CAI e Alessandro solleva la questione animato da una situazione palese: “i miei amici e compagni di cordata, giovani e pieni di talento ed esperienza, sono quasi tutti guide alpine, ma avrebbero tutte le carte in regola per diventare accademici. Perché no?”.

[Alessandro Baù è diventato guida alpina dopo essere entrato nel club accademico: un’eventualità prevista e permessa dallo statuto.]

Uno statuto antiquato, una mentalità chiusa o cosa? Be’, la sua bella età lo statuto ce l’ha, dobbiamo ammetterlo. Ma, tralasciando l’opinione che ognuno ha sulle guide alpine e il loro lavoro, la domanda che mi frulla in testa diventa ora una curiosità affamata di risposte.

L’assemblea finisce e lungo la strada verso il ristorante incontro casualmente Marco che non riusciva a trovare l’esatta posizione del luogo. È stato più forte di me: “Marco scusami, ma perché le guide alpine non possono entrare nel CAAI?”.

Quando Marco inizia gentilmente a spiegarmi come è nata la questione, rimango ad ascoltarlo talmente assorta che dimentico pure la fame.

Marco Geri

“Per risponderti a questa domanda devo tornare parecchio indietro nel tempo, addirittura prima del 1904, la nascita del CAAI.

Già nell’’800 c’era chi voleva arrivare in vetta, ma erano persone che mai si erano approcciate alla montagna, quindi inesperte e senza conoscenze adeguate per poter salire anche in quota. Si affidavano allora a chi le montagne della zona scelta le conosceva bene. Ecco che boscaioli, pastori e altri lavoratori che ogni giorno vivevano la montagna, perché la abitavano e ci lavoravano, si sono proposti ai visitatori  (soprattutto borghesi, benestanti che potevano permetterselo) di fare loro da accompagnatori in cambio di denaro.

In pratica queste persone sono state le prime ‘guide alpine’. 

Dopo oltre un secolo dalle prime grandi avventure in alta montagna (come l’ascensione al Monte Bianco, 1786), la conoscenza delle montagne e della tecnica necessaria per salirci sopra è ormai sufficientemente sviluppata per consentire agli alpinisti provenienti dalle città di praticare l’alpinismo senza ricorrere necessariamente al supporto delle guide. Viene anzi considerato particolarmente pregevole l’alpinismo fatto “senza guide”. Nasce così il CAAI (1904), esplicitamente identificato come l’associazione degli ‘alpinisti senza guide’. La separazione tra gli alpinisti accademici e le guide alpine ha questa origine e, pienamente comprensibile nel 1904, è poi rimasta nel tempo un po’ per inerzia e un po’ per spirito conservatore.

Quello di oggi però è un momento storico che vede moltissimi giovani alpinisti scegliere di essere guide alpine: una condizione che preclude al CAAI, con l’attuale statuto, di accogliere tra le sue braccia questi ragazzi.”

Ora voglio farti leggere un testo tratto dal documento I fondatori dell’Accademico di Costantino Piazzo.

“Sulla scia di qualche avventuroso che apre la strada, si comincia a pensare di poter fare a meno della ingombrante tutela della guida: per gustare così appieno il successo della conquista e non ultimo rivendicare totalmente a sé il merito della scoperta della via nuova, nasce in qualcuno l’idea di agglomerare i praticanti dell’alpinismo senza guida e contemporaneamente creare un terreno di cultura per la formazione alpinistica delle giovani generazioni per coltivare alpinisti in grado di sostenere l’invadente concorrenza degli stranieri.

Sentiamo lo stesso Ettore Canzio, uno dei fondatori del CAAl:

‘Non fu una ribellione dell’alpinista al montanaro; fu un lento scivolare fuori di tutela, conviene dire che nessun tutore fu mai così garbato, servizievole, accomodante come lo fu in generale la Guida: sentì la passione che animava il suo giovane compagno e, mentre se ne faceva maestro, seppe tenersi in una prudente penombra, quanto era necessario per non disturbare nell’allievo quell’impressione di intimo compiacimento per la vittoria che costituiva il più valido incitamento alla novella energia che spingeva l’uomo alla montagna. Per questa opera magnifica e qualche volta oscuramente eroica che la Guida ha compiuto dai primi tempi dell’alpinismo fino ad oggi, vada ad essa da queste pagine in cui si spiega il commiato che noi ne prendemmo, l’espressione della nostra riconoscente ammirazione e il nostro commosso saluto.

(Ettore Canzio, Annuario CAAl 1922-23)”

[Invito a leggere l’intero documento: clicca qui!]

L’articolo 1 dello statuto del CAAI afferma:

“Il CAAI si propone di coltivare e diffondere l’esercizio dell’alpinismo senza guide, affiatare i soci tra loro, unirne l’esperienza, le cognizioni e i consigli per formare la sicura coscienza e l’abilità indispensabili a chi percorre i monti senza l’aiuto di guide.”

Dunque ‘senza l’aiuto di guide’. Ma se fossero guide gli stessi accademici, prendendo della figura al centro del dibattito solo la parte della persona come alpinista e grande appassionato della montagna e della sua storia? 

Competizione? Orgoglio? Timore di perdere alcuni valori e ‘tradire’ la storia del CAAI?

Non sono nessuno per poterlo affermare o per scegliere la risposta corretta, certo è che, qualunque sarà il futuro di questo dibattito, pilastro e criterio di selezione degli accademici, oltre a capacità e talenti, deve essere la conoscenza della storia dell’alpinismo, delle vie e dei loro chiodatori: elementi che vanno oltre la prestazione in sé, che sorprendono, raccontano e soprattutto insegnano.

Elementi che chiunque, indipendentemente dal mestiere che fa, potrebbe avere nella mente e nel cuore.

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