Forse da qualche parte sta scritto il motivo, ma non mi sono mai informata.
Mi hanno sempre detto che “volare” è necessario in falesia, perché rompe la routine e ti fa provare quelle sensazioni che non devi scordarti. Perché? Altrimenti ti fai prendere dal panico nei tiri che non conosci o in quelli che provi più difficili del tuo solito grado.
Al passo cruciale iniziano a tremarti le gambe, il respiro si fa più corto e a volte ti blocca, le mani stringono la roccia come se volessero ammorbidirla per potersi tenere meglio, la tensione arriva alle stelle e le braccia si induriscono, e poi non riesci più a tenere e allora ti aggrappi al rinvio, se è lì sottomano, o tenti di disarrampicare fino al punto di riposo o all’altro rinvio in cui hai passato la corda, e intanto il battito del cuore accelera come la respirazione. Oppure ti blocchi e non riesci più a salire, e magari inizi a rifiutare di scalare da primo, eviti i tiri di cui non sei sicuro, non provi i gradi più alti del tuo e finisci per chiederti “è davvero ciò che voglio? Ma cos’è quello che voglio?”.
Ok, ho esagerato, ma quando ammiro in parete gli infiniti scalatori più bravi di me, mi accorgo di come respirano, ad esempio: buttano fuori l’aria quando devono lanciare o rilanciare a una presa, controllano il respiro, cercano di mantenere la calma quanto possibile.

Il modo di arrampicare è poi diverso da scalatore a scalatore: chi è più delicato e chi è più potente nei movimenti. Ma tra i vari segreti c’è la calma, l’alleviare quanto più possibile la tensione (che altrimenti comporterebbe un abuso della forza e una bella ghisata precoce), la concentrazione e… se si vola pazienza!

Ma perché “volare” e non “cadere”. C’è sicuramente un motivo reale, ma non lo voglio sapere. Io ho il mio e voglio credere che ci si riferisca al volo per non averne timore, anzi, per caderci in tentazione ogni tanto. Chi non ha mai sognato di volare, senza ali o aerei?
E allora voliamo, senza paura di cadere.