Black Hole, il buco nero della Mandrea

Chiamale coincidenze o semplicemente avvenimenti fuori programma, ma quando capitano, io sono felice. Perché? Il motivo sta nelle esperienze straordinarie che vivi quando progetti un viaggio e devi farne un altro, imprevisto ma che ti dà impensabili soddisfazioni. È successo oggi, nella Valle del Sarca: avevamo in programma una via e per un intoppo abbiamo dovuto sceglierne un’altra, così, su due piedi. 

Fede mi ha proposto due alternative: ho scelto una via classica di due grandi arrampicatori, Giuliano Stenghel e Maurizio Giordani. Sono loro ad avere aperto nel 1979 la via che ripetiamo oggi: Black Hole, nella parete della Mandrea, un itinerario R3 di difficoltà V+, VI+, con passo VII o A0, conosciuto anche per i suoi tratti friabili, ma che con il Pilastro Gabrielli è parte della storia.

Voglio riportare un testo tratto dal sito sassbaloss.com:

“Questa parete (Mandrea, ndr), dopo l’apertura del Pilastro Gabrielli, vede nuovamente all’opera Giuliano Stenghel in compagnia questa volta di Maurizio Giordani, impegnati ad aprire nel 1979 la via Black Hole. Itinerario di gran classe e molto logico che si sviluppa quasi completamente in diedri fessurati. L’unica pecca è l’uscita della via caratterizzata da due lunghezze con roccia discreta, ma con un tratto decisamente friabile. Chiodatura molto parsimoniosa tranne nel diedro del quinto tiro. Quasi tutte le soste (tranne le ultime due) sono attrezzate.”

Partiamo e inizia Federico: percorriamo il primo tratto segnato con bolli rossi (legati e in sicurezza, proteggendoci con cordini su piante) in comune con il Gabrielli e arriviamo alla prima sosta su pianta. Fede parte verso sinistra, poi sale dritto per una breve placca, passa uno strapiombino e arriva alla sosta successiva.

Dobbiamo affrontare il secondo tiro, caratterizzato da una netta fessura che obliqua a sinistra verso un tettino da superare. Questa volta Fede prova a darmi un po’ più di fiducia: mi propone di salire da prima alcuni tiri. Lo sento nella voce e lo vedo negli occhi che qualche dubbio ce l’ha, perché su vie ben protette provo anche a superare i miei limiti, sugli itinerari da proteggere, però, devo ancora farmi un po’ di esperienza. Ma non me lo lascio dire due volte: accetto subito, mi carico di friend e parto per l’avventura.

Lentamente, analizzo la roccia e posiziono qualche friend nella fessura di V+, che sale un po’ a sinistra e dritta fino a un tettino. Qui seguo un brevissimo traverso verso sinistra (a destra sale la via Zero Negativo) fino a raggiungere una bella lama di V+ che verso destra mi porta a una sosta sospesa e un po’ scomoda. Questa via mi piace!

Arriva Fede, che mi rimprovera perché devo imparare a posizionare meglio i friend per non far perdere tempo al mio compagno di cordata nell’impresa di toglierlo. Io penso ‘ok, devo imparare, ma almeno se fossi caduta avrebbero tenuto’. Bisogna sempre guardare il lato positivo. 

Il terzo tiro è di Fede: un traverso verso sinistra, che segue una fessura per le mani con appoggi per i piedi decisamente poco definiti. Anche qui il V+ ci sta.

Il quarto e il quinto tiro sono due diedri fessurati fantastici, che salgono leggermente verso destra. Il primo ha un passo di VI e uno di VI+, il successivo ha un passo di VI+ e uno di VII/A0. Anche qui Fede mi dà fiducia (‘significa che il secondo tiro è andato bene’ penso) e li salgo io. 

Diciamo la verità: se avessi dovuto leggere una linea complessa, magari sarei andata fuori via, ma qui è impossibile sbagliare. Tutto è andato bene: il quarto tiro, con un cordone su clessidra e un cuneo, è da proteggere. Il quinto tiro è protetto benissimo con chiodi ravvicinati nel passo chiave, che non ho azzeccato subito purtroppo, ma che poi ho felicemente capito: ‘Martina, metti bene questi piedi!’.

Arrivati alla sosta del quinto tiro si prosegue con un traverso di VI di 8 metri verso sinistra. In bilico l’ho tirato, affidandomi ad appoggi minimi e a prese piccole.

‘Bella, Fede, mi piace tantissimo questa via!’.

‘Aspetta a dirlo…’.

Ebbene il settimo tiro, che scala Fede, si esprime in tutta la sua friabilità, con passi di V-, V+ e IV su un diedro friabile (un quinto assolutamente non scontato proprio per questo), un muretto strapiombante e un canalino terroso. La sosta è da attrezzare su pianta. 

L’ottavo tiro ha un passo di V+ nel diedro e poi un IV. Lo affronto io dopo una letta alla relazione “attenzione alla roccia decisamente friabile nella prima parte di questo tiro”. Proviamoci. La lunghezza ha solo un cordoncino sullo strapiombino da superare: le prese sono buone, ma il sospetto di trovare pietre mobili aumenta la fatica. È vero, il primo tratto è davvero friabile e quello sopra è un mix di roccia, foglie e terra, ma mi sono divertita anche qui. 

Ultima sosta su pianta e anche il buco nero della Mandrea è stato conquistato.

“Brava, mi hai sorpreso positivamente. Ora qualche tiro in più da proteggere te lo lascio fare…”.

Evvai, che regalo! Conquistarsi la fiducia di un compagno di cordata con esperienza (e con la consapevolezza che in montagna non si scherza) è un grande passo avanti. Ecco perché a volte gli avvenimenti fuori programma sono una grande opportunità.

Nel tragitto di ritorno incappiamo in una bella casetta immersa in un parco con l’erba tagliata e alcuni fiori coperti da reti: “me li mangiano i caprioli, altrimenti!”.

A parlarci sono una coppia di pensionati seduti all’ombra in un clima fresco e ideale per un po’ di riposo. Ci fermiamo per rinfrescarci alla loro fontana e per parlare un po’ con loro, che subito ci chiedono quale via abbiamo salito e altre informazioni. Scopriamo poi che ne sanno quasi più di noi e che Giuliano Stenghel passava spesso di lì a chiacchierare con loro. Ci salutiamo con la promessa di ripassare quando saliremo un’altra via nella zona.

Ecco gli incontri che preferisco: inaspettati, ma ricchi e sorprendenti.

Durante il ritorno la soddisfazione è alle stelle, non posso chiedere altro per concludere una gran bella giornata.

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