La vediamo subito, appena arriviamo nel territorio veronese sotto il Monte Baldo. Le pareti in calcare compatto di questa falesia hanno un colore misto tra il grigio e il rosso ed è proprio per questo che si chiama Sengio Rosso.
In macchina passiamo sotto le enormi pale eoliche che volteggiano stanche, affaticate forse sotto un sole cocente anche se è gennaio e la temperatura di prima mattina segna 0 gradi.
Arriviamo al parcheggio, ci prepariamo, carichiamo gli zaini in spalla e partiamo per quello che è un avvicinamento lungo e doloroso, almeno così dicono in molti. L’inizio del sentiero CAI 53 Piore – Lumini è all’ombra e il freddo ci viene incontro senza gentilezza, ma la strada è abbastanza ripida e non esitiamo a scaldaci. Poi il sentiero nel bosco si illumina con i primi raggi del sole che entrano attraverso gli alberi spogli, che ci lasciano intravedere anche il panorama, e per un lungo tratto la via è un falso piano.

Quando sembra che la strada sia conclusa, ci attende un’altra salita costellata da pietre e radici, ma in 5 minuti ci siamo.
Ed eccoci, finalmente dopo circa 40 minuti di cammino, sotto le pareti di questa bellissima falesia a circa 900 metri di altezza, affacciati sul mondo e accarezzati da una temperatura quasi estiva.

PlanetMountain presenta così questa falesia:
Con l’evoluzione della tecnica e dell’esperienza vennero affrontate le prime placche con l’apertura di alcuni fra i più bei tiri del veronese; nacquero “La porta del buio”, “Brena violenta” e la magnifica “Cura la carie”. Tra i primi anni 80 e la fine degli anni 90 il Sengio visse un periodo di oblio fino ad arrivare agli inizi del nuovo secolo con la riscoperta da parte di Beppe Vidali, uno tra i più prolifici chiodatori della zona. Grazie all’instancabile opera di Vidali vennero attrezzati tiri tecnici ed estetici come “Fog”, “Zenzero”, “Tala Patagonica” e i più recenti “Orchis” e “50 e non sentirli”. Contestualmente le placche più lisce vennero affrontate e liberate dalla classe di Nicolino Sartori che con i suoi movimenti sinuosi disegnò “Wara Wara del sur”, “Zaiss”, “La Bestiaccia”, portando le difficoltà oltre l’8a.

Iniziamo a scalare su Fanny (5c) e Ascent (6a): due tiri molto belli di 35 metri, facili ma abbastanza lunghi da farti pensare “non ho visto la catena per sbaglio?” e raccomandare un nodo a fine corda.

Proseguiamo poi su Placche Magiche, un 6b+ “ditoso”, come l’ha definito un ragazzo in risposta alla nostra richiesta di informazioni. Già, bellissimo tiro, molto tecnico e ricco di piccole tacche e pochi appoggi. Non è andata benissimo: ci rifaremo la prossima volta.

Infine abbiamo concluso la nostra spedizione su Namaste, un divertente 6a di 25 metri.

I primi due e quest’ultimo sono tiri di placca con parecchi buchi dove ci possono stare comodamente anche quattro dita.
Per oggi questi lunghi tiri ci sono bastati: le dita bruciano e i piedi indolenziti non vogliono più lasciare le morbide scarpe d’avvicinamento che abbiamo indossato per il ritorno.
Torneremo, per viverci un’altra giornata di placca, sole e ottima arrampicata.
[Foto: Guido]
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